Promozione e-book

Condivido con chi mi segue, una promozione che sto facendo sui miei ebook.

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La promozione è limitata ai primi 50 “riscatti” e termina il giorno 20 ottobre.

Cambiamento culturale: che fare?

Lo scenario oggi:

  • La leadership esercitata dalla sola “gerarchia aziendale” non è più sufficiente: occorre coinvolgere sul piano della leadership una porzione più ampia della popolazione aziendale.
  • La qualità del team working influisce pesantemente sui risultati aziendali: le organizzazioni assomigliano sempre più a “federazioni di team”.
  • Il nuovo scenario, rappresentato dal “lavoro agile” e dalle “organizzazioni liquide”, presuppone uno stile di leadership di stampo umanistico, incentrato sul coinvolgimento e sulla promozione della crescita delle persone, del senso di responsabilità e autonomia individuale.
  • I responsabili dei diversi team, i team leader, costituiscono il sistema nervoso delle organizzazioni: la team leadership è divenuta una competenza cruciale al fine del cambiamento culturale.
  • I team leader dispongono normalmente di adeguati strumenti sul piano del team management: troppo spesso invece l’esercizio della team leadership è lasciato alla buona volontà del singolo team leader.
  • La formazione dei team leader è dunque cruciale per assicurare futuro alle organizzazioni.

Occorre introdurre un nuovo modello di leadership. Esso è rappresentabile come un processo e si fonda sui seguenti principi:

  • Il team è un’integrazione di competenze e attitudini funzionali alla realizzazione di un progetto condiviso.
  • La team leadership prevede l’utilizzo di strumenti come il talent identification e il team talent identification.
  • Per incrementare le prestazioni del team, il team leader è chiamato a aiutare ogni team member a finalizzare i suoi fattori di successo, ma anche a favorire i fattori d’eccellenza del team. La tecnica di “talent identification” ha l’obiettivo di potenziare i fattori di successo di ogni team member. La tecnica di “team talent identification” ha invece l’obiettivo di potenziare i fattori d’eccellenza del team.

Il nuovo paradigma si incentra su un principio di fondo: gli individui crescono più potentemente investendo sui propri fattori di successo che non sui propri “gap”, le organizzazioni anche. Come detto, il processo prevede attività di team e attività one to one.
Il nuovo modello chiama i team leader a condurre efficacemente le seguenti attività:

Attività verso il team nel suo complesso

  • meeting di allineamento sulla sfida di team e sull’atteggiamento da adottare (Identity Meeting)
  • meeting periodico di potenziamento dei fattori d’eccellenza (Team Laboratory)
  • meeting di valutazione dei risultati di team (View Point Meeting)

Attività verso ogni singolo team member

  • incontri one to one di definizione della sfida di crescita e conseguente patto reciproco (Empowerment Pact)
  • incontri periodici one to one di identificazione e potenziamento dei fattori di successo individuali (Accompanying)

Grazie a Empowerment System, è oggi possibile introdurre con successo questo nuovo modello nelle organizzazioni.

Empowerment System è una soluzione integrata, interamente digitale, che forma e abilita i team leader a un esercizio strutturato e umanistico della leadership.
Si compone di tre attività:

  • e-learning individuale
  • coaching online di gruppo
  • webApp di supporto

E LEARNING, per apprendere:
Il percorso formativo in e-learning (sei moduli), si fonda sui passi fondamentali del processo della team leadership secondo Empowerment System. I team leader seguono individualmente il percorso formativo, programmando i moduli in autonomia, secondo le loro necessità di apprendimento.
GROUP COACHING, per contestualizzare:
Prevede una sessione di group coaching online tra un modulo in e-learning individuale e il successivo, al fine di contestualizzare gli apprendimenti e condividerli con gli altri team leader coinvolti nel progetto.
WEBAPP, per finalizzare:
Rappresenta il valore aggiunto al percorso formativo: un vero e proprio assistente virtuale ai team leader nella fase di applicazione.

Verso parole nuove

I nuovi modelli di leadership indotti dalla nuova epoca, necessitano di nuove parole.

Per fare ciò, occorre trovare il coraggio di andare oltre le parole vecchie alle quali ci siamo tanto affezionati.

Ci sono parole belle dell’epoca passata che sono diventate inattuali o quantomeno insufficienti.

Tra queste ne cito tre: passione, rispetto, obiettivi.

Con quali parole possiamo sostituirle? Al video provo ad argomentarlo.

2021, l’anno della rigenerazione

Quando finalmente avremo alle spalle l’emergenza che ha segnato questo ultimo periodo, potremo scegliere cosa tenere delle esperienze che siamo stati “costretti” a fare.

Certamente faremo tesoro delle esperienze relative al lavoro in remoto.

Altrettanto certamente sentiremo il bisogno di una rigenerazione vera, lontani dal monitor del PC, ma anche delle sale meeting aziendali.

Proprio a questo serve il Safari Coaching, a rigenerarsi.

Una settimana in Kenya in compagnia del tuo coach.

Ho dedicato una pagina del sito a questa proposta. Qui puoi approfondire.

Filantropia, un’altra parola da sdoganare nel linguaggio manageriale.

Il nuovo tempo che stiamo imparando a conoscere, ci induce a immaginare modelli di leadership fortemente orientati al caring. Così si parla di leadership gentile, di leadership umanistica, di leadership materna. Proprio ragionando intorno a ciò, mi sono tornate alla mente le parole finali del mio libro Il tempo della leadership, pubblicato con Guerini NEXT nel 2015. Le ripropongo nel seguito.

Occorre superare la tentazione di attendere che cambino “tutti”, che si determinino le condizioni favorevoli, che si consolidi davvero questo nuovo tempo con cui  fare i conti.

No, il futuro non si costruisce attendendo la nuova era, ma vivendola e plasmandola, dandole una direzione.

Il nuovo paradigma manageriale necessita dunque di un atteggiamento abilitante. Esso è sostanzialmente riconducibile a una parola molto impegnativa: filantropia. Come è noto, questa parola deriva dal greco e unisce le espressioni amore e esseri umani.

È possibile desiderare autenticamente la crescita degli altri, aiutarli a ricercare i propri talenti e a esprimere il meglio di sé, se non si è mossi da un sentimento di amore verso le persone? Se non si è capaci di appassionarsi alla loro vicenda umana? È possibile mettersi al servizio degli altri per aiutarli a realizzare i loro desideri, senza adottare nei loro confronti un atteggiamento autenticamente benevolo?

Il nuovo paradigma manageriale non può dunque che fondarsi su un atteggiamento filantropico.

Lo so, può suonarci strano, può sembrarci distonico rispetto a un mondo che, secondo un certo stereotipo, sarebbe sempre più cinico e arido. Non è così. L’epoca 4.0 ci chiama a dare il meglio di noi stessi col coraggio di scelte e atteggiamenti non convenzionali. Ci chiama a non nasconderci, ad alzare la testa, a non rinunciare alla nostra più autentica essenza e a ripudiare i facili alibi che delegano agli “altri” le nostre possibilità di successo.

Il mondo digitale spalanca le porte a un uomo nuovo, un uomo planetario che sa accettare e valorizzare la diversità, ma, proprio per questo, rifiuta ogni omologazione. 

L’uomo nuovo sa mettere al centro della propria attenzione il talento proprio e degli altri e rifugge le etichette totalizzanti.

Così facendo, possiamo scegliere di non limitarci a mettere in gioco noi stessi, possiamo scegliere di aiutare le persone che lavorano al nostro fianco a fare altrettanto: la nuova epoca ci chiama dunque a un abbraccio solidaristico con le persone che ci stanno intorno, per aiutarle a crescere e a trovare il coraggio di finalizzare i propri talenti. 

Solo così, potremo voler bene a questo nostro tempo e provare a viverlo fino in fondo, senza alibi e senza paure.

Nel nostro ruolo di manager, possiamo concorrere in modo determinante a dirigere questa nuova era in una direzione umanistica in cui l’innovazione tecnologica, organizzativa e comportamentale sia messa al servizio degli individui, della loro crescita e della loro realizzazione, ben consapevoli che le persone non si realizzano tanto soddisfacendo i propri bisogni, quanto realizzando i propri desideri.

Ecco perché è necessario essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo. Solo così potremo vivere nel qui e ora, solo così potremo concorrere a fare di questa nuova epoca una gran bella epoca, solo così potremo partecipare a questa fase straordinaria ed entusiasmante dell’emancipazione dell’Uomo sul Pianeta.

Certo, non basta parlare, bisogna mettersi al lavoro con coraggio e concretezza, consapevoli del potere dei piccoli gesti.

Ed ora mettiamoci dunque in viaggio nella tempesta, senza paura del rollio né del beccheggio: per chi sa fieramente navigare con la pioggia in faccia, essi detteranno il ritmo della danza.

Rafforzare il sé: dalla margherita al girasole

Il dibattito intorno ai nuovi modelli di leadership, ha messo in luce la centralità del tema dell’autenticità nelle relazioni.

Ma si può essere davvero “autentici”? Cosa si intende per autenticità?

Una certa visione associa il tema dell’autenticità alla retorica del “dico quello che penso”, del “ho il difetto di essere troppo sincero”, fino al classico “non faccio carriera perché sono uno che dice quello che pensa”. 

Si tratta di un tema complesso, scivoloso, equivoco.

In effetti è del tutto normale comunicare in modo differente lo stesso messaggio, in ragione del tipo di interlocutore e contesto. Interpretare lo stesso “personaggio” nelle diverse circostanze, non è sintomo di autenticità, rappresenta al contrario un atto di ingenerosità verso la propria molteplicità e ricchezza interiore.

Certo che ognuno di noi corrisponde alla propria “autentica essenza”, ma ognuno di noi, nelle diverse circostanze, affida la propria autentica essenza a diversi “interpreti del sé”. Eh, ma allora metti una maschera! Certo che sì. L’etimologia della parola persona deriva dal verbo latino personare, formato dalle due parole per e sonare che letteralmente significa “suonare attraverso” cioè risuonare. Con questa espressione, ci si riferiva agli attori del teatro classico che “parlavano attraverso” la maschera lignea che indossavano in scena.

Secondo un’altra interpretazione, l’etimologia della parola persona deriverebbe dall’ etrusco φersu, e dall’ indi φersuna, che  indicano “personaggi mascherati”, a loro volta derivanti dal greco πρόσωπον (prósōpon) che  indica la maschera dell’attore.

Un’ulteriore interpretazione etimologica della parola persona, individua la sua fonte nel termine latino pars con cui si intende il ruolo di un personaggio. Sorprende come tutte le interpretazioni etimologiche individuino concordemente nel mondo del teatro classico, l’origine della parola persona. Insomma, le parole “persona” e “maschera” sono saldamente e profondamente unite: siamo le maschere che indossiamo.

Ma perché sarebbe necessario “indossare una maschera”? Semplice, per calibrare la comunicazione del nostro pensiero e renderlo “sostenibile” nei diversi contesti: il grado di confidenzialità che concediamo a noi stessi, non lo concediamo ad alcuno, è necessario calibrare. Si tratta di un processo naturale che non implica una progettazione a tavolino. Grazie però a questa consapevolezza potremo resistere alla tentazione di usare la nostra presunta autenticità come alibi.

Questo significa forse che dobbiamo gestire con cautela e prudenza la nostra comunicazione e non prenderci alcun rischio? Certo che no: lo spessore delle nostre relazioni con gli altri, evolve proprio grazie alla nostra scelta di stare sul bersaglio del massimo livello di “autenticità sostenibile” ed anche di prenderci qualche piccolo rischio. Così facendo, creeremo relazioni meno bisognose di maschere troppo ingombranti. 

La nostra stessa crescita personale passa attraverso la consapevolezza delle nostre maschere, passa attraverso la consapevolezza di assomigliare a un fiore dove il centro corrisponde alla nostra autentica essenza e i petali corrispondono ai personaggi che interpretiamo. Grazie a questa consapevolezza, potremo nutrire e rafforzare il centro del fiore e finire per assomigliare nel tempo sempre più a un girasole e sempre meno a una margherita.

Buon padre di famiglia? Forse è meglio madre.

Non devi fare la mamma! Smettila con questo atteggiamento materno! Ah no, devi fare il manager mica accudire dei figli!

Queste sono le esortazioni che molte donne a capo di un team si sentono a loro volta rivolgere dai loro capi. Costoro considerano lo spirito materno come una tipica “area di miglioramento” delle donne manager. Esse si sentono conseguentemente frustrate quindi, nella maggior parte dei casi, negano finendo per rinnegare se stesse, in altri casi ammettono, rassegnandosi a un’esercizio inadatto e minore della leadership.

E se non fosse così? Se l’atteggiamento materno fosse oggi richiesto? Ma davvero vogliamo continuare a ispirarci al sentimento del “buon padre di famiglia” e negare il valore dell’atteggiamento materno?

Chiedo scusa per l’ineleganza di un’auto-citazione, ma desidero condividere ciò che scrivevo al riguardo in Leadership e Amore (Sperling & Kupfer) nel 2004, oltre quindici anni fa.

Ripensando alla mia infanzia in campagna e ragionandoci in termini di leadership, un’immagine più di ogni altra mi sovviene, ed è riferita ai gatti. Essi catturavano infatti la mia attenzione quando li osservavo educare i loro cuccioli alla caccia del topo. Papà-gatto cacciava la preda e la portava viva a mamma-gatta che, dopo averla tramortita con qualche zampata ben assestata, la metteva a disposizione dei micetti, i quali tentavano goffi agguati. Quando il topo si riprendeva, la gatta lo tramortiva nuovamente per fare riprendere l’allenamento ai cuccioli. Certo, per il ratto era una specie di corrida, una brutta sorte, ma l’emozione che mi procurava l’educazione dei piccoli, lo confesso, era maggiore rispetto alla pietà per la bestiola. Potevo osservare per ore senza annoiarmi. Ora, nel ricordare quella scena, pur mantenendo la tenerezza infantile, ne rielaboro il significato: il gatto è il “manager” che assicura le risorse per il presente, ma il “leader” è la gatta che, insegnando ai piccoli a cacciare, assicura loro una possibile autonomia futura. Mentre la capacità di management è infatti funzionale al governo del presente, la capacità di leadership è finalizzata alla costruzione del futuro. Per questa ragione un’espressione compiuta della leadership ha bisogno di uno spirito materno.

Ecco cosa scrive Erich Fromm ne L’arte d’amare:

“Nell’amore erotico due persone distinte diventano una sola, nell’amore materno due persone che erano una sola si separano. La madre deve non solo tollerare, ma desiderare e sopportare la separazione dal figlio. È solo a questo stadio che l’amore materno diventa un compito così difficile da richiedere altruismo, capacità di dare tutto senza chiedere niente e di non desiderare altro che la felicità dell’essere amato”.

Sono parole ricche di emozione e verità che ci segnalano come il più importante dei principi della leadership ci consente di superare la tentazione paternalistica e ci fornisce uno straordinario strumento per gestire le scelte più difficili, nelle quali la nostra leadership è messa alla prova più dura. In quei momenti basta domandarsi: come si comporterebbe una madre? Già, perché il più importante principio della leadership che, in un’unica potente formulazione, riassume in un tutt’uno armonico tutti gli altri, è proprio questo: saper essere madre.  È a questo principio che è sufficiente uniformarsi per esprimere una leadership etica, dare un senso al proprio ruolo e, forse, in ultima analisi, alla propria stessa esistenza.

Sì, l’atteggiamento materno è il più potente antidoto al sedimentare di stili di leadership paternalistici: lo stile paternalistico risponde ai bisogni del presente, l’atteggiamento materno abilita ai desideri futuri.

Il cambiamento culturale indotto dall’insorgere dell’epoca 4.0 e dall’accelerazione determinata dall’emergenza pandemica, suggerisce l’adozione di stili di leadership orientati all’accudimento, stili che sdoganino una volta per tutte la parola “amore”, omaggiando la definizione che ne dà il filosofo Milton Mayeroff: promozione altruistica della crescita del prossimo. Sì, promozione altruistica, non finalistica ed è per questo che i nuovi modelli di leadership non possono non incentrarsi sul valore della filantropia, intesa come passione per la persona. Chi è a capo di un team è chiamato a promuovere la crescita dei componenti del team con amore e filantropia: i risultati si disveleranno come ragionevole conseguenza e non come fine.

Roba forte, lo so, ma questa evoluzione ci è richiesta da questa nuova epoca che stiamo imparando a conoscere. Questa consapevolezza ci chiama a una profonda rivalutazione dell’atteggiamento materno e al sostanziale ripudio dei vecchi e violenti stereotipi che ne hanno negato fino ad oggi il valore. Sarà un bel giorno quando, di fronte all’accusa di aver adottato uno stile di leadership materno, la team leader oggetto della critica, risponderà con un luminoso sorriso e due sole parole: lo so.

Certo, l’accusa di “buonismo” è dietro l’angolo. Ma la generosità non corrisponde all’ostentazione della bontà e un esercizio materno della leadership è certamente un gesto di generosità e non un’ostentazione di bontà. In questo senso ci appare illuminante questa toccante scena tratta dal film Ray (autobiografia di Ray Charles).

Sono aggressivo, quindi vero. Sicuro?

Era il 2009 quando Adam Phillips (psicoanalista) e Barbara Taylor (storica) pubblicarono nel Regno Unito il libro On Kindness. Il libro fu pubblicato in Italia col titolo Elogio della gentilezza.

Gli autori definiscono la gentilezza come la capacità di ascoltare e accogliere le fragilità altrui, che è anche generosità, altruismo, solidarietà, amorevolezza. L’intento non è né moralistico né edificante: la gentilezza è semplicemente uno dei modi migliori per essere felici, è un piacere fondamentale per il nostro benessere. Gli autori mettono in evidenza come molte persone trovino sospetto questo “piacere” e cerchino di demolirlo attraverso l’idea che gli esseri umani siano naturalmente cattivi, competitivi e autoreferenziali. È invece la gentilezza che rende la vita degna di essere vissuta e ogni attacco rivolto contro di lei è un attacco contro le nostre speranze.

Queste riflessioni valgono ancora oggi a oltre dieci anni di distanza? Non solo, valgono ancor maggiormente. Si ha l’impressione che, sotto sotto, chi è aggressivo sia in fondo autentico e chi è gentile sia in fondo ipocrita. Così assistiamo al dipanarsi della retorica del “dico le cose in faccia”, atteggiamento contrabbandato per autenticità quando il più delle volte cela perlopiù aggressività. Certo che possiamo parlare al diretto interessato, certo che possiamo anche non indorare la pillola, ma possiamo farlo con gentilezza e benevolenza, è solo una libera scelta, siamo sempre liberi di scegliere che atteggiamento adottare, in ogni circostanza.

La sublimazione della retorica del “dico le cose in faccia” si produce nei reality show quando i partecipanti, è il caso del Grande Fratello, fanno a gara a chi rivendica per sé il primato dell’autenticità: sono una persona che dice quello che pensa, dico le cose in faccia, io non faccio strategie, sono vero. Si tratta di un nuovo conformismo, il linguaggio aggressivo è il nuovo conformismo, così quando qualcuno si defila e, giustamente e intelligentemente, adotta atteggiamenti diversi in contesti diversi, si sente piovere addosso l’accusa di bipolarismo: per essere considerati sani e autentici, bisogna dimostrarsi aggressivi, sempre e in ogni contesto. Sì, ma questo riguarda quei poveracci che si chiudono nella casa del Grande Fratello, mica riguarda tutti noi! No, ci riguarda, molto da vicino, in ogni contesto: quelli nella casa del Grande Fratello, siamo noi. Oppure, nei vostri contesti aziendali, non avete mai sentito la frase “io non ho fatto carriera perché sono uno che dice quello che pensa”? Siamo tutti al Grande Fratello e tutti possiamo scegliere di smarcarci: l’aggressività è stereotipata, la gentilezza è rivoluzionaria.

L’idea che la gentilezza, sotto sotto, contenga inevitabilmente un atteggiamento finalistico, è dunque totalmente priva di fondamento, ma per quanto io mi possa sforzare di argomentarlo, mai riuscirò a trasmettere questo concetto con la toccante potenza con cui lo fa, al video, Werner Reich. Gustatevelo.

Perché il 2021 sia l’anno di una nuova normalità

Il 2020 ha costretto le imprese a ricercare nuove formule organizzative e, con esse, nuovi modelli di leadership. Terminata l’emergenza, si tornerà al bel tempo andato? No.

No, perché la pandemia ha solo accelerato un processo già ampiamente in atto. Si tratta di un processo volto a valorizzare le persone attraverso il riconoscimento del talento di ciascuno e la diffusione della leadership.

Il 2021 non dovrà segnare il ritorno al passato, ma semmai il consolidamento di ciò che si è sperimentato.

Si dovrà inevitabilmente prevedere una maggiore autonomia da parte di ogni persona: più libertà e più responsabilità.

 

Le nuove forme organizzative non richiedono solo capacità di management, richiedono anche capacità di leadership. Lo so, da quel dì si parla di leadership. Appunto, si parla. Se ne parla prigionieri di una retorica ormai vecchia e totalmente inadeguata, la retorica del condottiero. No, è finito il tempo dei tanti manager capaci guidati da pochi condottieri: le organizzazioni avranno sempre più bisogno di tanti leader, leader meno piacioni, disposti ad applicare con zelo e impegno il processo di leadership.

Le imprese sono dunque chiamate a far evolvere i loro manger, a trasformarli in team leader. L’esercizio strutturato ed efficace della team leadership, rappresenta il principale fattore di emancipazione organizzativa.

Occorre formare a un corretto esercizio della leadership, chiunque abbia la responsabilità di guidare un team, anche quando numericamente modesto.

Come fare? Empowerment System offre la risposta. Di cosa si tratta? Di un sistema di formazione alla team leadership, interamente digitale, articolato su tre attività:

  • E-learning
  • Coaching online
  • WebApp

Grazie al e-learning, ogni team leader apprende individualmente i principi e le tecniche della team leadership.

Grazie al Coaching on line, ogni team leader si confronta col coach e con gli altri team leader coinvolti nel progetto, al fine di contestualizzare quanto ha appreso.

Grazie all’utilizzo della WebApp, ogni team leader è guidato passo dopo passo nell’applicazione del processo di team leadership.

Grazie a Empowerment System, le imprese potranno fare di questo 2021 l’anno della nuova normalità e potranno guardare al futuro con rinnovata energia e fiducia.

Per saperne di più: empowermentsystem.com