Filantropia, un’altra parola da sdoganare nel linguaggio manageriale.

Il nuovo tempo che stiamo imparando a conoscere, ci induce a immaginare modelli di leadership fortemente orientati al caring. Così si parla di leadership gentile, di leadership umanistica, di leadership materna. Proprio ragionando intorno a ciò, mi sono tornate alla mente le parole finali del mio libro Il tempo della leadership, pubblicato con Guerini NEXT nel 2015. Le ripropongo nel seguito.

Occorre superare la tentazione di attendere che cambino “tutti”, che si determinino le condizioni favorevoli, che si consolidi davvero questo nuovo tempo con cui  fare i conti.

No, il futuro non si costruisce attendendo la nuova era, ma vivendola e plasmandola, dandole una direzione.

Il nuovo paradigma manageriale necessita dunque di un atteggiamento abilitante. Esso è sostanzialmente riconducibile a una parola molto impegnativa: filantropia. Come è noto, questa parola deriva dal greco e unisce le espressioni amore e esseri umani.

È possibile desiderare autenticamente la crescita degli altri, aiutarli a ricercare i propri talenti e a esprimere il meglio di sé, se non si è mossi da un sentimento di amore verso le persone? Se non si è capaci di appassionarsi alla loro vicenda umana? È possibile mettersi al servizio degli altri per aiutarli a realizzare i loro desideri, senza adottare nei loro confronti un atteggiamento autenticamente benevolo?

Il nuovo paradigma manageriale non può dunque che fondarsi su un atteggiamento filantropico.

Lo so, può suonarci strano, può sembrarci distonico rispetto a un mondo che, secondo un certo stereotipo, sarebbe sempre più cinico e arido. Non è così. L’epoca 4.0 ci chiama a dare il meglio di noi stessi col coraggio di scelte e atteggiamenti non convenzionali. Ci chiama a non nasconderci, ad alzare la testa, a non rinunciare alla nostra più autentica essenza e a ripudiare i facili alibi che delegano agli “altri” le nostre possibilità di successo.

Il mondo digitale spalanca le porte a un uomo nuovo, un uomo planetario che sa accettare e valorizzare la diversità, ma, proprio per questo, rifiuta ogni omologazione. 

L’uomo nuovo sa mettere al centro della propria attenzione il talento proprio e degli altri e rifugge le etichette totalizzanti.

Così facendo, possiamo scegliere di non limitarci a mettere in gioco noi stessi, possiamo scegliere di aiutare le persone che lavorano al nostro fianco a fare altrettanto: la nuova epoca ci chiama dunque a un abbraccio solidaristico con le persone che ci stanno intorno, per aiutarle a crescere e a trovare il coraggio di finalizzare i propri talenti. 

Solo così, potremo voler bene a questo nostro tempo e provare a viverlo fino in fondo, senza alibi e senza paure.

Nel nostro ruolo di manager, possiamo concorrere in modo determinante a dirigere questa nuova era in una direzione umanistica in cui l’innovazione tecnologica, organizzativa e comportamentale sia messa al servizio degli individui, della loro crescita e della loro realizzazione, ben consapevoli che le persone non si realizzano tanto soddisfacendo i propri bisogni, quanto realizzando i propri desideri.

Ecco perché è necessario essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo. Solo così potremo vivere nel qui e ora, solo così potremo concorrere a fare di questa nuova epoca una gran bella epoca, solo così potremo partecipare a questa fase straordinaria ed entusiasmante dell’emancipazione dell’Uomo sul Pianeta.

Certo, non basta parlare, bisogna mettersi al lavoro con coraggio e concretezza, consapevoli del potere dei piccoli gesti.

Ed ora mettiamoci dunque in viaggio nella tempesta, senza paura del rollio né del beccheggio: per chi sa fieramente navigare con la pioggia in faccia, essi detteranno il ritmo della danza.