Stress da iperconnessione? La risposta è nella leadership.

L’emergenza Covid ha costretto le imprese a trovare nuove formule organizzative e le pongono di fronte a un dilemma: quando sarà terminata l’emergenza, si tornerà alle soluzioni passate o si consolideranno le nuove abitudini operative, comportamentali e organizzative che l’emergenza ha determinato? 

Il nuovo e inatteso scenario ha generato un’accelerazione nel passaggio “culturale” da un posto dove lavorare verso scopi da perseguire. Ha altresì consentito di sperimentare come si possano ottenere risultati importanti anche senza la presenza fisica del “capo” che ti orienta e sollecita.

Il tempo e lo spazio divengono così le categorie fondamentali del lavoro liquido, in quanto lavoro privato della fissità del solido, che cambia continuamente, Così, le mansioni/attività vengono modificate in continuazione.

In contesti organizzativi definiti “liquidi”, la prima reazione è lo spavento, l’ansia, lo smarrimento. Il tutto è dettato da una sensazione di ingestibilità, di mancanza previsionale, di poca padronanza di sé e del contesto circostante. Occorre dunque potenziare gli skill che permettono di dominare quella fluidità che, altrimenti, finirebbe per sommergerci.

Gli elementi produttori di stress e malessere sono da sempre riscontrabili molto più nei modelli di leadership che non nella natura del business che si porta avanti. L’emergenza Covid, il lavoro in remoto e la conseguente necessità di aderire la “lavoro liquido”, hanno messo ulteriormente in luce la criticità della competenza-leadership, nelle sue due fondamentali declinazioni: 

  • team leadership
  • eco leadership

L’esercizio di queste due declinazioni della leadership, rappresenta il più potente antidoto alla sensazione di malessere prodotta dall’insorgere delle nuove frontiere organizzative.

Team leadership. Per quanto se ne parli, per quanto si sprechino convegni sul tema, per quanto la parola squadra sia entrata nel linguaggio manageriale, in effetti si tende ancora a confondere i concetti di gruppo e squadra. Essi appartengono a piani molto diversi: nel gruppo prevale la dimensione della persona, nella squadra prevale dimensione della competenza. 

Gruppo: insieme di persone unite da un interesse in comune;

Squadra: integrazione di competenze finalizzate alla realizzazione di un progetto condiviso.

Troppo spesso le iniziative volte a potenziare il team building, hanno l’obiettivo dichiarato di potenziare la squadra, ma in effetti fanno leva sui fattori del gruppo: l’affinità elettiva, la qualità delle relazioni, l’entusiasmo.

In realtà, il benessere diffuso all’interno del gruppo, deriva in gran parte da altri fattori, quelli che riguardano la dimensione della “squadra”: sfida, atteggiamento, attitudini. Tali fattori rappresentano le leve di una efficace team leadership. 

Vediamoli ad uno ad uno:

  • La sfida. La Vision aziendale non é di per sé sufficiente a coinvolgere i team member di un’unità operativa, occorre fare ricorso alla “sfida di team”. La sfida di team disegna l’identità dell’unità operativa, genera senso di appartenenza e definisce gli orizzonti che il team ha di fronte a sé.
  • L’atteggiamento. Per poter realizzare la sfida di team, é necessario che i team member adottino un atteggiamento funzionale e coerente. L’atteggiamento richiesto non consiste in un generico richiamo valoriale, ma all’osservazione di poche e inequivocabili “regole di ingaggio” che vanno espresse attraverso la richiesta di specifici “comportamenti osservabili”.
  • Le attitudini. Il successo della sfida di team é favorito dal fatto che ogni team member finalizzi i propri “talenti”. Tali talenti individuali vanno dunque identificati, “battezzati” e potenziati nel tempo.

Il team leader é dunque chiamato a definire e condividere un coinvolgente progetto di team, richiedere allineamento con l’atteggiamento richiesto mettendo in campo, se del caso, la propria autorità di ruolo, identificare i fattori di successo di ciascun team member e sostenerli nella loro finalizzazione e nel loro potenziamento.

Ecoleadership. Le aziende organizzate secondo le logiche tradizionali, fanno oggi i conti con una criticità:  la “gerarchia aziendale” non sembra più in grado di gestire efficacemente un così alto tasso di innovazione e cambiamento continuo. La realtà, sempre più complessa e liquida, richiede l’esercizio della leadership da parte di una più ampia porzione di popolazione aziendale. 

Chiunque svolga un’attività che comporti l’interazione con altre persone (quindi in effetti proprio chiunque) è oggi potenzialmente chiamato a esercitare leadership. La scelta di esprimere leadership anche quando ciò non derivi dalla propria responsabilità di ruolo, impatta considerevolmente sulle prestazioni dei team.

Il compito del team leader è infatti fortemente agevolato quando si crea una speciale alleanza con i suoi team member più ingaggiati, gli ecoleader. Si tratta di quel rapporto che, nella metafora sportiva, riguarda la collaborazione fra il “mister” e il cosiddetto “allenatore in campo”, quel giocatore che, indipendentemente da ruoli e etichette, sceglie di spendersi personalmente affinché la squadra si allinei rispetto all’atteggiamento che l’allenatore chiede di adottare.

Ma è davvero possibile? La leadership non è forse una competenza tipica, anzi esclusiva, dei ruoli direttivi? La leadership non riguarda forse la motivazione e il coinvolgimento dei collaboratori? E chi non ha collaboratori, come può esprimere leadership?

Quando si pensa alla leadership, normalmente si pensa a una responsabilità derivante da un ruolo particolare. È giusto: chi è chiamato a guidare un’organizzazione o un team, non può esimersi dalla responsabilità di esprimere leadership. 

Eppure è oggi necessario fare ricorso a una nuova concezione di leadership che non sia determinata solo dal ruolo, ma da una libera scelta di tipo etico, la scelta di chi si spende personalmente per il miglioramento della qualità della vita di qualunque ecosistema egli abiti.

Naturalmente si tratta di una leadership a 360 gradi: non riguarda il rapporto con i propri collaboratori, riguarda il proprio rapporto col mondo. 

Per queste ragioni, gli ecoleader sono oggi figure cruciali per l’equilibrio e la longevità delle organizzazioni.

Questo tipo di espressione di leadership non è voluta, cercata, pianificata; non è esito di applicazione di questa o quella tecnica. L’ecoleadership è effetto di un atteggiamento verso il mondo, della scelta di influire, di concorrere, di lasciare un segno ed è così definibile: attitudine innata grazie alla quale una persona sceglie di spendersi personalmente al fine di emancipare gli ecosistemi che abita. 

Ecco i principi a cui si ispira l’ecoleadership:

  • Essere della partita, indipendentemente dal proprio livello gerarchico
  • Assumersi la responsabilità della qualità delle proprie relazioni
  • Considerare ogni “crisi” come una transizione e non come uno stato
  • Parlare solo di ciò che si sa e ascoltare molto ciò che non si sa
  • Non scaricare i problemi, anzi farsene carico
  • Costituire un esempio disinteressato di qualità
  • Ripudiare il lamento
  • Conoscere il potere dei piccoli gesti

Il paradosso è che spesso nelle organizzazioni, l’ecoleadership non solo non è potenziata, ma è talora osteggiata. Così gli ecoleader vivono con frustrazione la loro attitudine anziché metterla al servizio dell’organizzazione. Costoro vanno invece incoraggiati, specialmente attraverso attività formative volte al loro potenziamento personale.

Naturalmente la partecipazione a tali iniziative formative, va proposta su base volontaria, a diversi livelli gerarchici, senza designazioni dall’alto: la partecipazione per libera scelta, diventa in questo modo anche un semplice sistema per individuare gli ecoleader in pectore.

Un consapevole esercizio della team leadership e la promozione della ecoleadership, concorrono in modo decisivo alla riduzione del malessere e dello stress all’interno delle organizzazioni.