n°8

2 luglio 2025

CONTEMPORANEA

QUINDICINALE

DI RIFLESSIONE POLITICA

"Il nostro intento consiste nell'osservare la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato"

by Alessandro Chelo

Perchè CONTEMPORANEA?

A cura della redazione

Perchè il mondo cambia con velocità e intensità inusitate, mai sperimentate fino ad oggi. Non basta dirlo, bisogna tenerne conto, bisogna adottare nuovi paradigmi e, per farlo davvero, bisogna lasciare andare le vecchie credenze e i vecchi ancoraggi. Bisogna mollare gli ormeggi e iniziare a guardare il mondo con occhi nuovi, osservando la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato. Non serve rimpiangere il bel tempo andato, occorre scovare l'innovazione e comprenderla, da qualunque parte essa provenga, in qualunque forma si presenti, impegnandosi affinchè il nuovo tempo non sia terreno di rivincita, ma di emancipazione; non di recriminazione, ma di accrescimento.

IN QUESTO NUMERO:

CARO AMICO TI SCRIVO

di Alessandro Chelo

Lettera aperta ai lettori di Contemporanea

IL DITO E LA LUNA

di Jeremy Olek

Schierarsi o non schierarsi? Questo è il dilemma.

IL PUNTO DI VISTA

di Eglaia Tosti

Chi più chi meno, siamo tutti marxisti. Anche i liberali.

SOLLETICANDO

di Ghino di Tacco

Le istanze sociali e la foglia di fico della Costituzione.

caro amico ti scrivo

lettera aperta ai lettori di Contemporanea

di Alessandro Chelo

Caro lettore di Contemporanea,

sono ormai passati quattro mesi dal primo numero, il numero zero, di questo nostro quindicinale e possiamo tirare qualche somma.

La nostra iniziativa è stata accolta bene e in pochi giorni abbiamo raggiunto i trecento iscritti. Il dato controtendente è che abbiamo subito smesso di crescere: trecento erano e trecento sono rimasti.

Le ragioni sono senz'altro molteplici e di certo hanno a che fare con la nostra scarsa capacità di comunicazione e diffusione. Questo non basta però a spiegare la nostra mancata crescita, giacchè almeno un po' di passaparola avremmo potuto aspettarcelo.

Evidentemente non siamo riusciti a trasmettere pienamente il senso di questa nostra iniziativa. Il nostro intento, il mio in particolare, era quello di proporre un confronto nel campo liberale sulla necessità di immaginare e promuovere una nuova fase storica che facesse andare il Paese oltre la fase post-bellica, caratterizzata dal patto fra mondo cattolico e mondo comunista, patto oggi divenuto del tutto anti-storico. Ciò, dal mio punto di vista, dovrebbe comportare una maggiore iniziativa politica da parte di Forza Italia e un riesame critico del tema delle alleanze da parte del mondo lib-dem.

Non abbiamo avuto riscontri, forse non siamo stati sufficientemente chiari, non so, forse il tema non interessa o è troppo "di nicchia". La mia impressione è che Forza Italia viva in attesa di un evento che apra una nuova fase e che il mondo lib-dem consideri quello della oleante un tema-tabù, un tema su cui non ci si confronta davvero, su cui decide il capo.

Sta di fatto che con questo ottavo numero, ci prendiamo una pausa per capire il da farsi e a settembre vedremo che sarà di noi.

Nel frattempo ti auguriamo una buona estate, ma soprattutto ti ringraziamo con tutto il cuore per averci seguiti fino ad oggi. Se vorrai proporci la tua opinione, puoi utilizzare alle scopo il modulo di contatto.

Ancora un enorme grazie di cuore.

il dito e la luna

Schierarsi o non schierarsi? Questo è il dilemma.

di Jeremy Olek

Col finire della seconda guerra mondiale, il mondo di divise in due blocchi di influenza, USA e URSS: si stava o di qua o di là, lo schema sembrava chiaro, inossidabile, non dava scampo.

Ma negli anni sessanta si levò una voce che seppe ruppere quello schema, proponendo l'idea di un'equidistanza da USA e URSS. Inizialmente quella voce non fu compresa: o di qua o di là - si ripeteva - non ti puoi definire equidistante da USA e URSS! Col tempo però quella voce prese consistenza, era la voce di Mao, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese.

Mao spiegò bene la sua posizione, lo fece elaborando una tesi molto circostanziata, denominata Teoria dei Tre Mondi. Secondo Mao, il mondo, per essere davvero compreso, non andava rappresentato diviso in due, ma semmai in tre parti. Un primo mondo al quale appartenevano le due super-potenze; un secondo mondo al quale appartenevano i paesi sviluppati come quelli europei, il Giappone e il Canada; un terzo mondo al quale appartenevano i paesi poveri, mondo del quale la Cina faceva parte e del quale ambiva alla leadership. Secondo Mao, la contraddizione fra USA e URSS era una "contraddizione secondaria" che si consumava nel primo mondo e la contraddizione principale era fra il primo e il terzo mondo. La tesi fu compresa nel tempo e tutt'ora il neologismo "terzo mondo" appartiene al nostro linguaggio comune.

Mao volle concettualizzare lo schema interpretativo e pubblicò un saggio sull'analisi della realtà attraverso questo schema, saggio intitolato Sulla contraddizione.

Mi affascina molto questa vicenda e quando cerco di interpretare la realtà, mi domando quale sia la contraddizione principale e quali invece le contraddizioni secondarie. Non ho certo l'ambizione di leggere le contraddizioni planetarie in un momento di così grandi scombussolamenti, però possiamo forse provare a capire qual è la contraddizione con cui ogni Paese di tradizione democratica e liberale deve fare i conti. In ogni Paese, e certamente anche in Italia, si contrappongono due visioni: la prima, di derivazione sociologico-marxista, propone un modello di pensiero e di comportamento (comunemente chiamato woke) al quale gli individui devono conformarsi, in uno spirito più o meno dichiaratamente anti-occidentale; la seconda propone l'idea che siano gli individui a fare le società e non viceversa. La prima visione mette al centro la responsabilità sociale, mentre la seconda mette al centro la responsabilità individuale.  La prima visione ripropone la cultura del "nemico di classe", adattandola ai nuovi fantasmi, ambientalismo in primis; la seconda visione è ricca di contraddizioni (secondarie) e può esprimersi con spirito innovativo o con spirito oscurantista. 

Se questo è davvero lo scenario con cui fare i conti, allora non c'è spazio per il "nè con... nè con...", tocca schierarsi rispetto alla contraddizione principale. In Italia in particolare, generare un'alternativa alla "visione woke" corrisponde a superare la concezione catto-comunista del nostro impianto costituzionale, istituzionale e culturale. Il mondo liberale non può esimersi dal prendere una posizione. Almeno il confronto andrebbe aperto.

IL puntO di vista

Chi più chi meno, siamo tutti marxisti. Anche i liberali

di Eglaia Tosti

La cultura politica marxista ha permeato la società italiana. A tutti noi piace, sotto sotto, sentirci anti-sistema, rivoluzionari in pectore, ribelli. Un po' a tutti piace sentirsi quelli che "hanno capito", quelli a cui "non la si racconta". Insomma un po' a tutti piace sentirsi "avanguardia".

Secondo la logica marxista, pochi, cioè appunto l'avanguardia comunista, possono interpretare correttamente la realtà e a quei pochi, intellettualmente e moralmente superiori, tocca imporre il cambiamento. La cultura politica marxista non è dunque fatta solo di contenuti politici, ma anche di un atteggiamento politico, un atteggiamento caratterizzato da senso di superiorità, snobismo intellettuale, spocchioso senso della missione, corredato da un atteggiamento nevrotico, tipico di chi si sente illuminato fra gli ottenebrati.

Se guardiamo al mondo liberale degli ex e post terzopolisti, riconosciamo questo atteggiamento. Già, perchè costoro, pur proponendo contenuti politici assai condivisibili, non riescono a liberarsi da un atteggiamento politico che non ha alcunchè di liberale ed è anzi figlio di quella cultura marxista che permea la società nel suo colpesso. Il fatto che tutti i leader dell'area provengano dal PD, non aiuta. Viene dal PD Renzi, viene dal PD Calenda, viene dal PD Marattin. Vengono dal PD anche i loro vice: Paita, Bonetti, Marcucci. Tutti. In effetti, anche i nostri liberali si sentono "avanguardia", auto-proclamatisi "competenti", si ritengono eletti nell'interpretazione della realtà, illuminati fra gli ottenebrati, a loro spetta generare il cambiamento, non si sa bene con quali numeri e quali alleanze. Così, con certa insopportabile civetteria, si beano di essere minoranza per scelta, l'avanguardia incompresa. Anche i loro partit(in)i sono afflitti da questa sindrome e si qualificano "comunità politiche", espressione non a caso utilizzata per primo da Matteo Renzi, guru della setta di Italia Viva, espressione che ha fatto breccia nel mondo dei liberal-comunisti (liberali nei contenuti, marxisti nell'atteggiamento), espressione che ha nulla di liberale: i partiti sono libere associazioni di liberi cittadini, non "comunità".

C'è tanto lavoro da fare in quel mondo (ammesso che venga concesso lo spazio per provarci, cosa di cui dubito), un lavoro che, come ho cercato di argomentare, non riguarda i contenuti delle proposte programmatiche, ma l'atteggiamento col quale si interpreta la realtà e ci si propone al mondo.

solleticando

Le istanze sociali e la foglia di fico della costituzione

di Ghino di Tacco

La Corte di Cassazione ha espresso diversi dubbi in ordine alla costituzionalità di alcuni provvedimenti legislativi in materia di sicurezza.

Non è così interessante capire se e quanto la Corte sia andata oltre le sue prerogative, nè capire quanto questa sua valutazione sia dettata da intento politico. Molto più interessante è provare a capire se davvero il cosiddetto decreto sicurezza non è pienamente conforme con lo spirito costituzionale. Per quanto mi è dato capire, credo che in effetti non sia pienamente conforme. Ciò porterebbe alla conseguenza di rivedere il decreto, lo capisco, ma a mio giudizio ciò che è importante (e ormai urgente) correggere, non è il decreto, è la Costituzione, specie nella sua prima parte.

La Costutuzione Italiana, nata dal patto fra mondo cattolico e mondo comunista, è permeata da uno spirito che premia la responsabilità sociale su quella individuale; anche per questo, ad esempio, l'occupazione illegittima di un'abitazione e l'esclusione del suo legittimo proprietario, non vengono interpretati come una libera scelta (in questo caso infame) dell'occupante, ma come la testimonianza di una "istanza sociale". Secondo questa logica, qualunque comportamento, anche il più abietto, è in qualche modo effetto e testimonianza di un'istanza sociale. Vale per l'occupazione delle case, vale per i blocchi in tangenziale, vale per l'imbrattamento delle opere d'arte. C'è un'istanza sociale per tutto, lo dice la nostra Costituzione, la nostra amata foglia di fico.

Sì, la Carta, specie nella sua prima parte, va riscritta, ripartendo da un foglio bianco, a cominciare dal primo articolo.

L’articolo 1 della Costituzione italiana, L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, ha concorso in modo decisivo alla determinazione della cultura del Paese, una cultura fondata sulla mistica del lavoro, una cultura che premia senza riserve le pretese del cittadino-lavoratore sui bisogni del cittadino-cliente; una cultura che non considera il lavoro come un’opportunità da conquistare e costruire, ma come una pretesa da rivendicare; una cultura che considera il profitto d’impresa come una sorta di maltolto; una cultura fondata sull’idea che il lavoratore sia necessariamente vittima e l’impresa necessariamente carnefice.

Anche l'articolo 11 ha concorso alla determinazione della cultura del Paese. L’incipit degli articoli è importante perché rappresenta ciò che davvero permane nell’immaginario collettivo. Ecco l’incipit dell’articolo 11: L’Italia ripudia la guerra. Se, ad esempio, in Italia si fa così fatica a comprendere la necessità di potenziare la difesa, lo si deve anche a questo incipit, strumentalmente utilizzato da sedicenti pacifisti, normalmente per nulla pacifici, dediti all'esclusione dei non allineati e al rogo delle bandiere altrui.

Le costituzioni liberali si fondano normalmente sul principio della responsabilità individuale e della sacralità della proprietà privata. La Costituzione italiana, come già detto, é invece intrisa di riferimenti alla responsabilità sociale e collettiva ed é molto debole rispetto alla responsabilità individuale, così come é debole il riferimento alla sacralità della proprietà privata. Certo, é vero, c’è un articolo ad essa dedicato, é l’articolo 42. Ancora una volta, é questione di incipit. Ecco le prime parole dell’articolo dedicato alla proprietà privata: La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. Questo articolo ha sedimentato nella cultura del Paese la credenza che la proprietà privata sia un’opzione secondaria, perlopiù non desiderabile e dettata da interessi discutibili. Da qui deriva l’idea che il cittadino possa difendere la sua proprietà da un soggetto che la viola, solo se questo soggetto, oltre a violare la proprietà, si renda protagonista di un gesto inequivocabilmente violento. Se no, quella del cittadino non é legittima difesa: la violazione della proprietà privata non é considerata, di fatto, in sé un’offesa.

Il rapporto fra il cittadino e lo Stato passa in gran parte attraverso il meccanismo del fisco. L’articolo 53 della Costituzione parla chiaro: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva; il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Nessun riferimento allo scambio fra cittadino e Stato, nessun riferimento alla qualità dei servizi prestati. Questo ha generato la credenza secondo cui le tasse non rappresentano il prezzo di uno scambio, ma un dovere tout-court. Così l’iniquità di un fisco oppressivo, la scadente qualità dei servizi e lo sperpero del denaro dei contribuenti, passano in secondo piano di fronte al refrain assordante del “dagli all’evasore!” che caratterizza la cultura del Paese.

Sì, c'è una dissonanza fra il decreto sicurezza e la Carta. Questa dissonanza va corretta. Riscrivendo la Carta.

I protagonisti del rinnovamento istituzionale non possono di certo essere gli eredi di quei mondi comunista e cattolico che diedero vita alla Carta della prima Repubblica. Lasciare l’iniziativa alle forze di destra, cederebbe il passo a un intento più restauratore che innovatore. Questo quadro dovrebbe orientare la visione strategica del cosiddetto centro, ma nessun segnale, ahimè, va in questa direzione.

Questo sarebbe il momento delle scelte coraggiose, oltre tutti i vecchi schemi. Chi fra i protagonisti dell’area politica che si richiama al centro, avrà il coraggio di giocare la partita del rinnovamento istituzionale verso la seconda Repubblica, renderà un servizio di inestimabile valore al sistema democratico italiano.

ALESSANDRO CHELO

Sono nato a Genova nel 1958.

Ho pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese.

Dopo aver lungamente scritto per Stradeonline, Linkiesta e Il Riformista, mi dedico oggi, a CONTEMPORANEA.

Alessandro Chelo

I miei articoli scritti per:

collaborano con la redazione di contemporanea

Mauro Voerzio, Torino, 1968. Analista geopolitico, esperto di guerra ibrida. Dal 2015 al 2019, ricercatore presso l’Università del giornalismo di Kyiv per il progetto StopFake; dal 2019 al 2023, Esperto Nazionale in Georgia per l’Unione Europea; autore di Gli Angeli di Maidan (2014) e Guerra Ibrida - attacco all’Europa (2019).

Luca Monti, Como, 1968. Vive a Blevio sul lago di Como. Autore di Un orso rosso a New York (2021), Generazione 1968 (2016), L’immortalità (2016). È fondatore di Copernicani ETS - Associazione per l’innovazione. Dal 1994 opera nell’ambito dello sviluppo del capitale umano. Ha progettato e coordinato servizi innovativi finanziati dall’Unione Europea per la formazione, l’istruzione e il lavoro.

Paolo Scavino, Genova 1964. Consulente di direzione e formatore su sistemi di gestione e modelli organizzativi. Autore de Il fiato spezzato (2013). Vive a Genova e osserva con interesse e qualche timore il cambiamento in atto.

Nera è un gioco, uno strumento ed un mezzo espressivo. Una compagna di viaggio ed un rifugio.
È una provocazione, una proiezione, la mia parte piú vera.

Collabiorano inoltre Eglaia Tosti Jeremy Olek che si racconta nel libroJeremi e la farfalla che volava in inverno.

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