Noi europei, e in modo particolare noi italiani, nel malaugurato caso, sapremmo e soprattutto vorremmo davvero difenderci? “La domanda sorge spontanea”, si sarebbe detto negli anni 80 e, in tempi di rinnovato turbo-pacifismo senza se e senza ma, in un paese come l’Italia che non ha mai avuto ben chiaro il concetto di alleanze militari e di conflitti cinetici, la risposta non è così scontata.
Winston Churchill diceva che "Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”, é comunque diffusa tra gli italiani la sensazione che vale sempre la regola di allearsi con chi si pensa possa vincere, salvo poi cambiare in corsa.
Ma tutto questo valeva nel passato, poi con la Costituzione repubblicana si è introdotto l’articolo 11 sul ripudio della guerra. Questo articolo è divenuto il totem dei pacifisti a la carte ed è stato di fatto modificato dagli stessi, senza passare dalle forche caudine del Parlamento e di un eventuale referendum. Il “pacifista”, infatti, interpreta l’articolo 11 senza tener conto della parte in cui è scritto “come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Tale parte è stata abrogata dai pacifisti in favore di un ripudio della guerra tout court.
Il fatto che qualcuno si appropri del termine “pacifista”, è di per sé una cosa abominevole, come se “gli altri” fossero tutti sadici assassini che godono a dormire sotto i bombardamenti o a vedere le proprie figlie violentate dai soldati nemici. Il modo manipolatorio e non sempre così pacifico con cui certi personaggi utilizzano questa distorsione, rende l’idea della bassezza del dibattito politico italiano.
Voglio qui ricordare le parole di Marco Pannella, storico critico del pacifismo italiano: «Non-violenza e democrazia politica devono vivere quasi come sinonimi. Da un secolo non vi sono guerre tra democrazie: diritto e libertà sono la prima garanzia. E il pacifismo storico, nei fatti, lo ha sempre ignorato. Perché i giovani sappiano, i vecchi ricordino e si cessi di ingannarli: il pacifismo in questo secolo ha prodotto effetti catastrofici, convergenti con quelli del nazismo e del comunismo. Se il comunismo e il nazismo sono messi al bando, il pacifismo merita di accompagnarli».
Il tema esercito si - esercito no, è recentemente tornato in auge, specie dopo le manifestazioni organizzate dal mondo politico riferito al centrosinistra contro il progetto di sicurezza e riarmo proposto dall’Unione Europea e contro ogni assistenza militare all’Ucraina e a qualsiasi nazione in guerra.
Il pacifismo integrale proposto dal campo largo a guida grillina, suggerisce alcune domande, domande alle quali i nostri pacifisti dovrebbero dare una risposta.
La prima, ovvia, è la seguente: perché tenere un esercito e sprecare due punti di PIL nelle spese militari, se comunque in caso di guerra noi italiani siamo per la “pace” e il ripudio della guerra a oltranza? Voi comprereste una lavastoviglie se il regolamento di condominio ne vietasse l’uso e aveste deciso che, comunque vada, laverete sempre i piatti a mano?
La seconda domanda è più insidiosa: quanti italiani sarebbero disposti a mobilitarsi? Quanti stranieri che popolano le nostre città, potrebbero essere mobilitati in caso di guerra?
A sentire Conte e Fratoianni, ma anche Schlein e Salvini, il mantenimento di un esercito è uno spreco di soldi assurdo così come lo è investire in sicurezza nazionale. Traspare il retro-pensiero che, in caso di una aggressione al nostro paese, in fondo, da buoni italiani, troveremmo il modo di metterci d'accordo con il nemico e, grazie alla nostra storica flessibilità, saremmo anche disposti ad una dominazione soft, insomma l’arte del Franza o Spagna purché se magna portata all’estremo, tenendo però presente che tanti personaggi che diffondono queste idee, a mala parata, potrebbero facilmente trasferirsi in Svizzera o comunque avrebbero disponibilità finanziarie tali da rilocarsi in 48 ore e lasciare la plebe a godersi la dominazione soft.
Nessuno ha mai sondato quanto oggi gli italiani sarebbero disposti a difendere la loro libertà e la democrazia, nessuno sa quale sia il punto di rottura per cui si potrebbe anche accettare di far uscire la propria figlia con un velo islamico obbligatorio o di non poter più usare liberamente internet.
La domanda se in caso di aggressione vorremmo davvero difenderci, non è pertanto campata in aria, non è un semplice gioco filosofico, ma sta diventando una domanda cruciale.
Chi sarebbe disposto a difendere armi in pugno i principi democratici dell’Italia?
Anni fa, durante una audizione in Parlamento, feci una domanda semplice a cui nessuno seppe o volle rispondere (e a tutt’oggi nessuno mi ha ancora risposto), ovvero “quanti sacchi neri (i soldati uccisi, KIA, vengono messi all’interno di sacchi neri prima di essere rimpatriati e ricomposti) potrebbe sopportare la nostra democrazia”?
Questa domanda è fondamentale e si collega a quella precedente.
La Russia ci ha lanciato la sua sfida, Putin ha dimostrato che la sua politica del numero è da tre anni vincente, lui può permettersi un milione di perdite e non vedere in alcun modo scalfito il suo potere, mentre la nostra debole democrazia, quante perdite potrebbe sopportare? 10, 100, 1.000, 10.000 sacchi neri? Probabilmente non più di dieci e poi il Governo cadrebbe con le piazze italiane che sarebbero occupate da migliaia di pacifisti (quelli di cui sopra) i quali chiederebbero di fermare le armi e di trovare un accordo con il nemico e di conseguenza accettare la dominazione, soft o meno soft.
In questo scenario, se la maggioranza dei cittadini italiani davvero preferirebbe una dominazione piuttosto che una resistenza al nemico, che senso ha mantenere un esercito spendendo soldi di tutti noi contribuenti?