Precedenti numeri di CONTEMPORANEA:
n.0: 1 marzo 2025
n.1: 15 marzo 2025
n.2: 2 aprile 2025
n.3: 18 aprile 2025
n.4: 2 maggio 2025
n.5: 17 maggio 2025
n.6: 27 maggio 2025
n°7
15 giugno 2025
QUINDICINALE
DI RIFLESSIONE POLITICA
"Il nostro intento consiste nell'osservare la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato"
by Alessandro Chelo
A cura della redazione
Perchè il mondo cambia con velocità e intensità inusitate, mai sperimentate fino ad oggi. Non basta dirlo, bisogna tenerne conto, bisogna adottare nuovi paradigmi e, per farlo davvero, bisogna lasciare andare le vecchie credenze e i vecchi ancoraggi. Bisogna mollare gli ormeggi e iniziare a guardare il mondo con occhi nuovi, osservando la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato. Non serve rimpiangere il bel tempo andato, occorre scovare l'innovazione e comprenderla, da qualunque parte essa provenga, in qualunque forma si presenti, impegnandosi affinchè il nuovo tempo non sia terreno di rivincita, ma di emancipazione; non di recriminazione, ma di accrescimento.
di Alessandro Chelo
Lettera a Simone Leoni
di Jeremy Olek
Referendum sul "lavoro": sconfitta della democrazia?
di Mauro Voerzio
Il pugno di ferro immaginario
di Paolo Scavino
Greta e l'opzione eco-terrorista
di Alessandro Chelo
Caro Simone,
La sua recente elezione a segretario del Movimento dei Giovani di Forza Italia, ha suscitato un particolare interesse e ha avuto una speciale risonanza mediatica. Ciò è certamente dovuto alla sua verve comunicativa, ma anche alla crescente sensazione che Forza Italia, e in particolare i volti nuovi che in essa dovessero emergere, potrà giocare nel prossimo futuro un ruolo politico cruciale, più che nel recente passato.
Il ruolo politico di Forza Italia non va immaginato tanto su una base tattica, quanto nell'ambito di un ragionamento storico. La necessità del superamento della fase storica e politica determinata nel dopoguerra dal patto fra mondo cattolico e mondo comunista, necessità già intuita da Silvio Berlusconi negli anni ‘90, è oggi divenuta più che lampante. Il superamento di questa fase può essere vissuto con spirito rivendicativo, come una vera e propria rivalsa, oppure comprendendo le profonde ragioni che diedero vita a quel patto, in modo da superarlo con spirito autenticamente liberale e non vendicativo.
Certo, niente di nuovo rispetto all’intento originario di Forza Italia, ma è pur vero che una serie di ragioni hanno indotto il partito azzurro ad appiattirsi progressivamente sull’alleanza alla quale diede vita, perdendo talora di vista la peculiarità del proprio ruolo. Di ciò si ha una certa evidenza dal linguaggio che nel tempo si è andato adottando: inizialmente, l’iniziativa politica di Forza Italia veniva descritta come l’iniziativa di un partito liberale, di centro, europeista, che, sulla base di una valutazione storica e politica, sceglie liberamente di allearsi con le forze della destra, formando un’alleanza di centro-destra (si badi bene, con trattino); poi si è preso a descriverla come l’iniziativa di un partito di centrodestra tout court, senza trattino, annacquando nell'alleanza la propria identità. Sono certo che colga la rilevanza simbolica di quel trattino.
Sono convinto, caro Simone, che questo tratto identitario vada recuperato e sono convinto altresì che volti nuovi, ad esempio il suo, possano felicemente concorrere in tal senso.
Intendiamoci bene Simone, non sto certo vagheggiando di uno spostamento verso sinistra, sto al contrario suggerendo di ritrovare l’ispirazione originaria berlusconiana. Parrà forse strano, ma il dopo-Berlusconi di Forza Italia, potrà nascere solo ripartendo da quell’ispirazione originaria che nel tempo è andata stemperandosi.
Il cambiamento culturale di cui l’Italia ha disperatamente bisogno, deve essere guidato da una rinnovata e rinvigorita Forza Italia. Ma attenzione, affinché il cambiamento si affermi, non bastano i fatti, essi devono essere avvalorati da un impianto ideale che li riempia di significato. Per questa ragione, il cambiamento culturale deve essere accompagnato da un profondo riesame costituzionale, da un nuovo patto nazionale, (ri)fondativo che sappia andare oltre, in senso liberale e senza alcuna rivalsa, l’impianto ideale espresso nella Carta tutt'ora in vigore, specie nella sua prima parte. Roba difficile, ma bisogna metterci mano.
Caro Simone, spero che in queste righe trovi qualche spunto utile e in ogni caso le formulo il mio più sentito in bocca al lupo.
di Jeremy Olek
La gran parte degli elettori, certamente la schiacciante maggioranza, non si è recata alle urne. Perchè?
Le ragioni sono varie e tutte legittime. Una quota ha disertato le urne in quanto, in generale, poco interessata alle vicende politiche e poco propensa a parteciparvi. Si tratta di una quota fisiologica che, specie quando la posta in gioco non appare rilevante - e questo è di certo il caso - tende ad aumentare. Sì tratta ovviamente di una libera scelta più che rispettabile.
C'è poi una quota di non votanti più militanti, che hanno seguito l'indicazione dei partiti della maggioranza di governo. A mio giudizio si tratta di un'indicazione, l'astensione, più che legittima, ma, per come è stata espressa, politicamente miope: siamo contro l'abrogazione di quegli articoli di legge, quindi facciamo fallire il referendum. Legittimo, ripeto, ma miope. Miope perchè la ragione che avrebbe dato spessore alla scelta dell'astensione, non riguarda il contenuto del referendum, riguarda l'uso abietto che, ancora una volta, si fa del sacro istituto referendario. Il referendum abrogativo serve a garantire un "controllo" della popolazione in ordine a leggi che, per quanto costituzionali, possano minare l'impianto culturale nazionale, ferendone il "sentimento". Ebbero senso i referendum volti ad abrogare la legge che regolamentava il divorzio o quella che regolamentava l'aborto. In entrambi i casi, talune organizzazioni cattoliche ritennero che tali leggi fossero in contrasto col sentimento nazionale e vollero verificarlo. L'esito, a mio giudizio fortunatamente, diede ragione al legislatore e quelle leggi non furono abrogate. Anche l'iniziativa referendaria volta ad abrogare la legge per la ricerca e la produzione di energia nucleare, ebbe un senso: i promotori ritennero che questa scelta offendesse il sentimento ambientalista nazionale. Purtroppo l'esito gli diede ragione. Per il resto, le altre decine e decine di referendum abrogativi si sono consumati su questioni minori, quisquilie, testimonianza o polemica di bassa cucina da parte dei promotori: un indegno uso improprio. Tajaini ha tutte le ragioni quando sostiene che andrebbe alzato il numero di firme necessario per portare il Paese alle urne del referendum abrogativo.
Quest'ultima iniziativa referendaria è stata forse la più impropria: una resa dei conti nell'ambito della sinistra fra i riformisti (quelli che fecero la riforma del lavoro) e i massimalisti (quelli che vogliono abrogarne alcune parti). Si tratta di una polemica politica nell'ambito di una parte politica, spacciata per questione nazionale riguardante il lavoro. Balle. Chiunque dotato di una dose minimale di onestà intellettuale, facesse una ricerca anche distratta sulle conseguenze date in caso di abrogazione delle norme oggetto del referendum, saprebbe che il Paese, il sistema produttivo e lo stesso mercato del lavoro arretrerebbero. Una battaglia nel fango spacciata per questione nazionale, addirittura morale, vizio tipico della sinistra. Una retorica miserevole che purtroppo miete molte vittime: ben il 30% degli elettori ha scelto di partecipare a quest'uso indecente del sacro istituto referendario.
Anche in questo caso, ci sono quote diverse. C'è la quota dei sinistri massimalisti vetero-sindacali, quelli che se ne fottono del sistema economico e, con fare classista e corporativo, badano solo al proprio tornaconto, quelli che hanno votato SI' all'abrogazione dei quattro articoli riguardanti il lavoro, e NO a quello riguardante i tempi di ottenimento della cittadinanza, l'unico fra i cinque quesiti referendari con un senso. Di questo 30% c'è poi una quota, non piccola, anzi credo maggioritaria, che ha votato per scelta pre-politica, direi etica. Coloro che, in perfetta buona fede, pensano che votare sia davvero un "obbligo morale" e che l'astensione, anche in questo caso, rappresentasse una opzione poco democratica, quasi autoritaria, sotto sotto fascistoide. Questo atteggiamento è figlio di quella retorica costituzionale secondo cui votare sarebbe un "dovere civico". Uno dei tanti principi costituzionali che raccontano di una Carta fondata su una concezione paternalistico-burocratico-autoritaria dello Stato, concezione nata direttamente dal patto politico fra mondo cattolico e mondo comunista che ha dato vita alla Costituzione. Il voto come dovere testimonia questa concezione sostanzialmente illiberale.
L'esito referendario non rappresenta la sconfitta della democrazia, rappresenta la sconfitta, non così netta, di chi vuole tenere il Paese nel passato. Il Paese ha bisogno di una radicale svolta culturale. Tale svolta non può prescindere da una riscrittura della Carta, a partire dalla sua prima parte. Il mondo liberale non può restare fuori da questa partita, anzi deve guidarla.
di Mauro Voerzio
Da decenni, oramai, ci vengono somministrate quotidianamente piccole dosi di disinformazione, senza che manco più ci se ne accorga. Non è un'iniziativa di una spectre immaginaria o di governi nemici, in questo caso i protagonisti sono i nostri stessi politici.
Credo che il vezzo ebbe inizio con la fine della prima Repubblica e si sia reso chiaramente visibile con l’avvento del Movimento Cinque Stelle. Se una volta il politico sorpreso con le mani nella marmellata provava una profonda vergogna (ricordate la bavetta bianca di Forlani davanti a Di Pietro?) la nuova generazione del management politico italiano, sembra quasi far vanto di mentire e smentirsi più volte.
Fatta questa triste riflessione sulla qualità politica odierna, torno a bomba all’argomento dell’articolo, le piccole dosi di fakenews. Un esempio forse su tutti è la pena a cui debbono soggiacere i criminali una volta scoperti e giudicati. I telegiornali, diventati oggi giorno un terribile bollettino di disgrazie e turpi reati, ci dicono che Tizio è stato condannato a tre anni di carcere oppure Caio che rischia una pena di due anni di carcere per essere stato trovato in possesso di.., oppure Sempronio per aver guidato ubriaco e ucciso un pedone, rischia fino a chissà quanti anni di carcere.
Però questo bollettino si limita ad “annunciare” fantasmagorici anni di carcere per tutti i cattivi, ma non si preoccupa minimamente di verificare cosa effettivamente succede dopo la sentenza. Eppure basterebbe passare una mattinata in una qualsiasi aula di Tribunale per accorgersi che andare in carcere in Italia a seguito di una condanna, è veramente dura. Più facile finirci ingiustamente o in attesa di giudizio.
Una condanna sino a quattro anni di carcere, passata in giudicato, presuppone neppure un giorno di carcere. Nei casi di arresto in flagranza di reato per reati comuni come il furto o lo spaccio, il delinquente viene tradotto in carcere, ma va a direttissima un giorno dopo e nel 99% dei casi viene scarcerato. Spesso si sostituisce la detenzione in carcere con una pena alternativa come ad esempio l’obbligo di firma, un istituto giudiziario del tutto inutile a prevenire le recidive.
Non voglio dilungarmi sul tema Giustizia, ho usato questo argomento solo per spiegare cosa significa “somministrare disinformazione a piccole gocce”. Questa disinformazione viene somministrata secondo le regole della guerra ibrida, cioè ripetutamente e su più canali. Questo serve probabilmente a illudere la popolazione rispetto a un "pugno di ferro" in effetti inesistente, frutto di provvedimenti quasi sempre dimostrativi.
Questo è anche il motivo per cui la scarcerazione di Brusca dopo 25 anni di carcere, ha destato scalpore: un mafioso che doveva scontare diversi ergastoli, adesso è libero. Scandalo! Abbiamo urlato, ma non c'è alcuno scandalo, è la normalità.
Hanno stuprato una bambina? I politici propongono un aumento di pena, l'ennesimo provvedimento con intento dimostrativo, ma il vero guaio della giustizia italiana resta intatto: la certezza della pena.
Senza certezza della pena, si influisce ben poco sulla realtà e resta solo la somministrazione di altre pillole di disinformazione, in modo che il cittadino si illuda che chi si comporta in maniera criminale, sarà punito. Lo crederà, almeno dalle 20:00 alle 20:30 e potrà dormire sonni tranquilli.
Dormi italiano, dormi tranquillo.
di Paolo Scavino
Il recente coinvolgimento di Greta Thunberg in un’azione simbolica per forzare il blocco israeliano, ha riportato la giovane attivista al centro del dibattito pubblico. L'iniziativa, condotta insieme ad altri attivisti a bordo di una barca carica di pochi aiuti, aveva l’obiettivo esplicito di provocare un intervento militare da parte di Israele e attirare così l’attenzione mediatica sulla causa palestinese.
Al di là della scarsa efficacia materiale del gesto, ciò che colpisce è la valenza simbolica: l’icona globale della lotta al cambiamento climatico che si schiera apertamente su una questione geopolitica complessa, con una presa di posizione che oltrepassa i confini dell’ambientalismo.
Questa convergenza di temi non è casuale. In ampie porzioni del movimento ecologista globale, e anche nazionale, si rileva da tempo un’ibridazione tra istanze ambientaliste, anti-capitaliste e anti-occidentali. L’ambiente, in alcuni casi, sembra ridursi a cornice di una più ampia contestazione al sistema economico dominante. È il caso, per esempio, di "Ultima Generazione", il gruppo italiano che ha recentemente spostato le proprie azioni dai blocchi stradali e dagli attacchi simbolici alle opere d’arte, alla protesta contro i ristoranti di lusso e i loro prezzi, come nel caso della contestazione al noto chef Carlo Cracco.
A questo punto sorge spontanea una domanda: cosa c’entrano la crisi climatica, la Palestina, i ristoranti stellati e i bassi salari? La risposta sta nella visione del mondo che anima molti di questi movimenti: una critica sistemica al capitalismo e all’Occidente, considerati come origine comune di diseguaglianze, inquinamento, guerra e sfruttamento.
Una visione che, sebbene coerente in una certa prospettiva ideologica, si rivela spesso selettiva. Le stesse voci europee che si levano contro le multinazionali, tacciono, ad esempio, di fronte all’aggressione russa all’Ucraina o al disinteresse per l’ambiente manifestato da potenze come la Cina e l’India. L’incoerenza, tuttavia, è solo il sintomo di un problema più profondo.
Ciò che preoccupa maggiormente è il linguaggio sempre più radicale, un linguaggio che legittima l’uso della violenza, almeno simbolica, come strumento per farsi ascoltare. Quando si afferma che “non importa il danno provocato da un blocco stradale” o che “imbrattare una fontana storica è un atto giustificato”, si entra in un terreno scivoloso. È la stessa logica che ha animato, in passato, fenomeni di radicalizzazione violenta e di vero e proprio terrorismo politico.
Questo slittamento è già in atto in alcune frange che, dietro la bandiera dell’ecologismo o della giustizia sociale, rifiutano apertamente i valori democratici, e che trovano sponda in gruppi estremisti – di destra e di sinistra – protagonisti di episodi violenti in diversi contesti europei.
In Italia, il contesto normativo e culturale potrebbe facilitare questa deriva. Una legislazione disorganica in materia di sicurezza e ordine pubblico, come quella attualmente promossa dal governo Meloni, può diventare terreno fertile per la radicalizzazione, offrendo alibi o spazi di ambiguità.
Ma la responsabilità più grande, forse, ricade su una sinistra incapace di elaborare un pensiero forte e moderno. Una sinistra che, nel rincorrere istanze populiste come quelle del Movimento 5 Stelle o della CGIL, ha abdicato al proprio ruolo di mediazione culturale e politica. In assenza di risposte credibili, i giovani attivisti, disillusi e frustrati, possono essere attratti da scorciatoie pericolose.
La storia recente dovrebbe insegnarci che l’estremismo, anche quando si presenta con buone intenzioni, può degenerare in violenza. È compito della politica e della società civile evitare che la passione per le grandi cause diventi terreno per nuove stagioni di odio.
Sono nato a Genova nel 1958.
Ho pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese.
Dopo aver lungamente scritto per Stradeonline, Linkiesta e Il Riformista, mi dedico oggi, a CONTEMPORANEA.
Alessandro Chelo
I miei articoli scritti per:
Mauro Voerzio, Torino, 1968. Analista geopolitico, esperto di guerra ibrida. Dal 2015 al 2019, ricercatore presso l’Università del giornalismo di Kyiv per il progetto StopFake; dal 2019 al 2023, Esperto Nazionale in Georgia per l’Unione Europea; autore di Gli Angeli di Maidan (2014) e Guerra Ibrida - attacco all’Europa (2019).
Luca Monti, Como, 1968. Vive a Blevio sul lago di Como. Autore di Un orso rosso a New York (2021), Generazione 1968 (2016), L’immortalità (2016). È fondatore di Copernicani ETS - Associazione per l’innovazione. Dal 1994 opera nell’ambito dello sviluppo del capitale umano. Ha progettato e coordinato servizi innovativi finanziati dall’Unione Europea per la formazione, l’istruzione e il lavoro.
Paolo Scavino, Genova 1964. Consulente di direzione e formatore su sistemi di gestione e modelli organizzativi. Autore de Il fiato spezzato (2013). Vive a Genova e osserva con interesse e qualche timore il cambiamento in atto.
Nera è un gioco, uno strumento ed un mezzo espressivo. Una compagna di viaggio ed un rifugio.
È una provocazione, una proiezione, la mia parte piú vera.
Collabiorano inoltre Eglaia Tosti e Jeremy Olek che si racconta nel libroJeremi e la farfalla che volava in inverno.
Se condividi la nostra linea editoriale e vuoi proporre un tuo pezzo, contattaci.
VUOI CONTATTARCI?
Precedenti numeri di CONTEMPORANEA:
n.0: 1 marzo 2025
n.1: 15 marzo 2025
n.2: 2 aprile 2025
n.3: 18 aprile 2025
n.4: 2 maggio 2025
n.5: 17 maggio 2025
n.6: 27 maggio 2025
Informativa Estesa GDPR (679/2016)
Ai sensi dell'articolo 13 del Regolamento UE 679/2016, ti informiamo che i dati personali raccolti attraverso la newsletter Contemporanea saranno trattati esclusivamente per finalità di invio di comunicazioni periodiche relative ai nostri servizi e novità. Il trattamento avverrà con strumenti elettronici e sarà effettuato in modo da garantirne la sicurezza e la riservatezza.
I dati raccolti non verranno ceduti a terzi, salvo obblighi di legge o in caso di necessità per la fornitura del servizio. Il conferimento dei dati è facoltativo, ma necessario per ricevere la newsletter.
Hai il diritto di accedere ai tuoi dati, rettificarli, cancellarli, limitarne il trattamento e opporsi al loro utilizzo, come previsto dagli articoli 15-22 del GDPR. Per esercitare tali diritti o per qualsiasi richiesta relativa al trattamento, puoi contattarci via email all'indirizzo [chelo@alessandrochelo.it].