n°4

2 maggio 2025

CONTEMPORANEA

QUINDICINALE

DI RIFLESSIONE POLITICA

"Il nostro intento consiste nell'osservare la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato"

by Alessandro Chelo

Perchè CONTEMPORANEA?

A cura della redazione

Perchè il mondo cambia con velocità e intensità inusitate, mai sperimentate fino ad oggi. Non basta dirlo, bisogna tenerne conto, bisogna adottare nuovi paradigmi e, per farlo davvero, bisogna lasciare andare le vecchie credenze e i vecchi ancoraggi. Bisogna mollare gli ormeggi e iniziare a guardare il mondo con occhi nuovi, osservando la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato. Non serve rimpiangere il bel tempo andato, occorre scovare l'innovazione e comprenderla, da qualunque parte essa provenga, in qualunque forma si presenti, impegnandosi affinchè il nuovo tempo non sia terreno di rivincita, ma di emancipazione; non di recriminazione, ma di accrescimento.

IN QUESTO NUMERO:

CARO AMICO TI SCRIVO

di Alessandro Chelo

Lettera aperta a Benedetto Della Vedova

IL DITO E LA LUNA

di Eglaia Tosti

Alta Corte Britannica: comanda il cromosoma?

IL PUNTO DI VISTA

di Luca Monti

La liberazione e la vertigine della libertà

SOLLETICANDO

di Mauro Voerzio

Gli invisibili

caro amico ti scrivo

lettera aperta a Benedetto DElla Vedova

di Alessandro Chelo

Caro Benedetto,

desidero innanzitutto ringraziarti, ringraziarti per avermi fatto vivere la mia più piacevole esperienza politica. Alludo all’esperienza vissuta insieme in Forza Europa, l’associazione politica alla quale, su tua iniziativa, demmo vita nel 2017. Un’esperienza fresca, pulita, vissuta in modo disinteressato, ma non per questo hobbistico. Forza Europa nacque dalla tua felice intuizione di considerare il tema europeo come un “meta-tema” politico, in uno scenario in cui lo schema destra/sinistra stava vieppiù perdendo significato. Negli anni, questa intuizione ha acquisito valore e oggi la sua attualità risulta macroscopica. Caro Benedetto, te ne va riconosciuto pubblico merito.

L’anno successivo, Forza Europa decise di dare vita a un partito unico con i Radicali Italiani di Emma Bonino, senza peraltro prevedere lo scioglimento dei due partiti fondatori. Come di certo ricorderai, fui l’unico membro della Direzione Nazionale a votare contro questa opzione. Ritenevo che, a dispetto del nome - Più Europa - i temi radicali avrebbero fagocitato il nuovo partito, ma soprattutto temevo che la politica si sarebbe continuata a fare nell'ambito dei partiti fondatori e questo nuovo contenitore sarebbe diventato più un ring di spartizione di ruoli che un laboratorio di idee. Mi sento di dire che, tornando indietro, non solo confermerei la mia scelta, ma mi opporrei con ancora maggiore tenacia: Più Europa ha ampiamente esaurito il suo ruolo, se mai è riuscita a ritagliarsene uno.

In questo nuovo scenario in cui emerge sempre più nitidamente una comune radice culturale fra l’atteggiamento autoritario della destra e quello totalitario della sinistra, e le scelte dirimenti che maggiormente concorrono a definire i diversi tratti identitari delle forze politiche, riguardano le questioni internazionali, siamo chiamati a una presa d’atto: l’atteggiamento anti-semita è più largamente diffuso a sinistra che a destra; la retorica “pacifista” è più largamente diffusa a sinistra che a destra; il tema del “riarmo” europeo è più largamente contestato a sinistra che a destra; l’anti-occidentalismo è più largamente promosso a sinistra che a destra. La sinistra appare oggi come la parte più conservatrice, quella meno pronta alla gestione dello scenario finalmente post-bellico che si dipana di fronte a noi, sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Oggi, chiunque iniziasse un ragionamento politico, alludo soprattutto al campo cosiddetto lib-dem, con la frase “tanto a sinistra, quanto a destra…” non terrebbe in debito conto questo stato di fatto. Chi poi, rispolverando la vecchia logica del “tutti insieme contro le destre”, mette radici nel cosiddetto campo largo, getta la spugna di fronte a ogni intento innovatore.

Quindi? Quindi è venuto il momento di nuovi passi, di nuove consapevolezza, di nuove scelte. Non si tratta di un nuovo posizionamento, il posizionamento è sempre quello: liberale, oltre lo schema destra/sinistra. La questione che abbiamo di fronte, non riguarda il posizionamento, riguarda le alleanze. Posizionamento e alleanze appartengono a piani diversi, troppo spesso equivocati. Attraverso quali alleanze le forze del campo liberale possono promuovere l’innovazione istituzionale, politica e culturale? Non certo con gli eredi di quel patto catto-comunista che nel dopoguerra garantì pace e sviluppo, ma che oggi appare del tutto anti-storico; non certo con chi utilizza gli svarioni autoritari di Trump per rispolverare antiche tradizioni anti-americane; non certo con chi continua a utilizzare l’anti-fascismo come un criterio sacro per attribuire patenti, una Conventio ad excludendum. No, caro Benedetto, occorre dare vita a un nuovo corso, fondato anche su nuove alleanze, al fine di promuovere l’innovazione e al contempo condizionarne l’attuazione in senso liberale. 

Tutto ciò presuppone a mio giudizio il riallineamento di Forza Italia con la sua ispirazione originaria, liberale, centrista, europeista, ispirazione che, per cause varie e diverse, in passato non ha certo trovato piena attuazione (ragione per la quale, immagino, tu stesso ti allontanasti da quel mondo). Bisogna adoperarsi affinchè ciò accada. Oggi il gruppo dei giovani di Forza Italia, ha scelto come proprio motto identitario, proprio Forza Europa. Sembra un segno. Forza Italia rappresenta oggi un possibile approdo? Lo so bene, sembrerebbe una scelta bizzarra, addirittura paradossale, ma a mio giudizio è l’unica realistica per chi vuole provare a ragionare oltre i vecchi steccati, a spostare lo sguardo dal dito alla luna, a influire davvero sullo scenario politico e istituzionale.

Qualche anno fa, chiacchierando della retorica secondo la quale sarebbe moralmente accettabile solo chi restasse fedele nel tempo a un unico partito e sarebbe invece meritevole dell’attributo di voltagabbana chi nel tempo evolvesse col divenire del mondo, citasti Churchill: ci sono persone che cambiano idea per non cambiare partito, e c’è chi cambia partito per non cambiare idea. Oggi è forse il tempo di dare seguito a questo principio? Credo di sì. Caro Benedetto, sono convinto che non saresti solo nel percorrere questa via, che si potrebbe forse ritrovare un po della freschezza che ricordavo prima. Di certo, per quel pochissimo che può valere, in questa scelta dirompente, io ti seguirei.

il dito e la luna

Alta Corte Britannica: comanda il cromosoma?

di Eglaia Tosti

L’alta Corte britannica ha deciso: quando si tratta di pari opportunità, comanda il cromosoma. Così, anche se sui tuoi documenti di identità c’è scritto “femmina” e in tutti gli ambiti, da quello sociale a quello professionale, sei considerata tale, anche se hai intrapreso e portato a termine il percorso di transizione di genere, non puoi godere delle tutele garantite alle femmine dalle norme per le pari opportunità (nel Regno Unito, Equality Act). Insomma, per quanto attiene le pari opportunità, le donne cosiddette “trans” non sono riconosciute come “donne”. Comanda il cromosoma, appunto.

Ciò potrebbe avere un impatto sulla loro possibilità, fino ad oggi scontata, di essere ricoverate in reparti ospedalieri per sole donne o accedere a spogliatoi femminili, solo per fare due semplici esempi. L’Equality Act, infatti, prevede spazi per sole donne per motivi di “privacy e decenza o per prevenire traumi o garantire la salute e la sicurezza”. Da oggi, benché il tuo stato di donna sia sancito dai documenti di identità, dalle tue relazioni sociali, dal tuo abbigliamento e dalle tue fattezze, non puoi godere di garanzie in ordine alla privacy, decenza e sicurezza. Non stiamo parlando di attività sportive, piano sul quale l'aspetto biologico impatta direttamente (e sul quale possono intervenire direttamente le diverse federazioni), no, stiamo parlando di diritti elementari. Così, ad esempio, la stessa British Transport Police, a seguito della sentenza, ha consigliato ai suoi agenti di condurre le perquisizioni sulla base del sesso biologico, quindi una donna cosiddetta “trans” sarà perquisita da un’agente uomo. Tante femministe esultano.

Ma chi sono queste donne “trans”? Sono persone nate con cromosoma maschile che, fin da tenera età, dimostrano una sensibilità tutta femminile, in termini di relazioni sociali, percezione della realtà, vita affettiva. In sostanza si tratta di femmine intrappolate in un corpo che non gli corrisponde e quindi precipitate in un inferno relazionale che porta alla cosiddetta disforia di genere. La sofferenza che procura questo stato è acutissima e può facilmente trasformarsi in un profondo disagio esistenziale. Crescendo, normalmente raggiungendo l’età pre-adolescenziale, queste persone sono mosse da una ferma e irriducibile determinazione a porre fine alla loro sofferenza. Come? L’unica via è appunto nel percorso di transizione di genere, un percorso fatto di diversi passaggi, di natura psicologica, farmacologica, giuridica e infine, per chi volesse completare il percorso, chirurgica. Si tratta di una vera e propria rinascita in un mondo nuovo, in cui la propria anima è finalmente allineata col proprio corpo.

Una comunità degna di questo nome, come dovrebbe accogliere la persona che porta a termine questo percorso? Con gioia per la sua rinascita, con generosità, garantendo relazioni sociali rispettose dell'identità conuistata e nuove tutele giuridiche. Ma l’Alta Corte dice di no, al termine del percorso, la tua sensibilità esistenziale, finalmente allineata con le tue fattezze, conta nulla, conta il cromosoma: fatti perquisire da un poliziotto e vai nel bagno dei maschi. 

Da dove viene tanto oscurantismo? Si tratta di una reazione. Una reazione a cosa? Alle pretese della logica gender fluid: ieri mi sentivo uomo, oggi mi sento donna, domani non so. Perdonate se la butto un po’ in caciara, ma le baracconate gender fluid, inserite nell'ideologia woke, hanno davvero passato il segno. La ragione per cui larga parte della sinistra abbia di fatto sposato queste storture, non è così misteriosa: abbandonata la lotta di classe, bisognava pur trovare dei temi nei quali sfogare le proprie smanie ribelliste, così ci si è aggrappati alla questione LGBTQ+CHI+NEHA+NEMETTA, così come alla questione ambientale (altro tema su cui il segno si è ampiamente passato e la reazione potrebbe essere retrograda). Dalla lotta di classe al luna park, il passo è stato piuttosto breve e la reazione inevitabile.

Ripeto, in questo caso la reazione è pessima, un perverso mix fra fanatismo moralista-vittoriano e fanatismo illuminista-scientista, un'agghiacciante integrazione di Richelieu con Robespierre: tanto per il primo quanto per il secondo, comanda il cromosoma. Il cromosoma viene prima, esattamente come veniva prima per i neonati abbandonati, marchiati come figli di madre ignota anche quando immediatamente adottati: le persone non sono intrecci di vicende umane, condomini di consapevolezze e interrogativi esistenziali, no, sono cromosoma. I diritti alla dignità, al decoro, alla sicurezza delle persone, di tutte le persone, da tema sociale ed esistenziale diventano tema esclusivamente "biologico". In sostanza, ha vinto l’incorruttibile Pillon e tante femministe esultano, le femministe cosiddette “gender critical”. Questo mi sorprende relativamente, fa parte del circo del nostro tempo, ciò che invece mi addolora, oltre ovviamente alla sofferenza che questa reazione oscurantista comporta per tante persone, è l’atteggiamento accondiscendente di tanti liberali, proprio loro che da quelle due forme di fanatismo a cui facevo prima riferimento, dovrebbero tenersi distantissimi. 

IL puntO di vista

La liberazione e la vertigine della libertà

di Luca Monti

Quest’anno la ricorrenza del 25 aprile è stata speciale: 80 anni dalla fine di una guerra mondiale.

Le due cifre di questo numero portano con sé due segni emblematici: quello dell’infinito, 8, e quello del nulla, 0. 

Ottant’anni corrispondono anche alla lunghezza di una vita, quella che trasforma il ricordo in memoria. In effetti, in Italia, la più longeva con il Giappone (altro grande sconfitto in quel lontano conflitto), la vita media supera di poco questo numero.

I testimoni, quelli che hanno visto e vissuto, sono pochissimi ed, allora, erano bambini. Certo, se il ricordo è legato agli avvenimenti, la memoria è invece alimentata dai significati.

E questa ricorrenza pone col suo nome, liberazione, il significato e il primato della memoria sulla libertà.

È stata anche guerra civile, oltre che mondiale. La liberazione è il momento finale di un movimento fatto di scelte, di decisioni, di schieramenti contrapposti tra sicurezza e libertà, moti che stanno nell’anima di ciascuno. Hanno diviso vicini di casa, amici e anche fratelli.

Dopo la Seconda guerra mondiale, sono nati alcuni antidoti politici e istituzionali: le nuove costituzioni (la nostra è un esempio), la ricostituzione di un nuovo organo mondiale con l’ONU, la creazione difficile, lenta e visionaria dell’Europa come organismo capace di mettere insieme i vincitori e i vinti delle due catastrofiche guerre mondiali, la NATO come sistema di difesa atlantico.

Oggi sono tutti in crisi.

Come è stato possibile che dei regimi totalitari siano stati promossi attraverso il consenso popolare, talvolta attraverso il voto democratico? 

Questo è il punto di domanda più grande.

Come è possibile che milioni di persone abbiano potuto non accettare ma desiderare il fascismo, il nazismo, il comunismo massimalista, il totalitarismo, le dittature?

E la risposta c’è: la libertà porta con sé una vertigine e un senso di smarrimento che ci richiama istintivamente verso la sicurezza. La libertà soffre nell’incertezza.

C’è in ciascuno di noi un diverso equilibrio tra il paradigma della sicurezza e il desiderio di libertà. È uno stato della persona come individuo ma anche come collettività, come società, come forma di governo.

La libertà è proprio visibile in quel simbolo di infinito che rischia sempre lo zero del vuoto. È un brivido che ha anche un’età propria, quella della giovinezza. I giovani di 80 anni fa hanno agito la libertà, hanno avuto la forza di spezzare il paradigma della sicurezza della loro vita e, talvolta questi eroi di quel tempo, l’hanno perduta, sacrificata. 

Oggi la nostra fragile democrazia, indebolita da questo tempo dell’incertezza e dell’insicurezza, nel mare aperto di un mondo globalizzato e sempre più diviso, quanti eroi saprebbe sopportare in nome della libertà?

Se fosse l’Europa in prima linea? Se fossimo noi in prima linea? Quanti di noi agirebbero la libertà e quanti la sicurezza? Quale moto dell’anima sceglieremmo, prima che diventi collettivo e politico?

solleticando

Gli invisibili

di Mauro Voerzio

Ho proposto agli amici di Contemporanea questo tema, il tema delle persone “invisibili”, perché lo ritengo cruciale per la formazione dei nostri giovani e anche per la costruzione del futuro delle nostre società. Pensavo di poter scrivere su un  tema tanto importante, un articolo strutturato e argomentato, ma alla prova dei fatti, le parole non sono uscite.

Il tema riguarda i territori da riconoscere alla Russia di Putin, al fine di raggiungere una qualche pace. Quali terre? Quali risorse? Quali confini? Nessuno si domanda, quantomeno in Italia, che sarà delle persone che abitano quei territori. Profughi? Sottomessi? Deportati? Non importa, è questione ininfluente.

Se da una parte si possono finanche perdonare le persone comuni, indaffarate a far quadrare i conti di casa, non è però possibile comprendere la mancanza di empatia e di valori umani di quella che dovrebbe essere l’intellighenzia Italiana. Si parla di “regalare” regioni ucraine alla fame imperialista di Vladimir Putin, senza preoccuparsi minimamente delle persone che vivono in quelle regioni. Queste persone sono degli invisibili, nessuno ha mai avuto il coraggio di sollevare il problema. Hanno orecchie e braccia come noi, addirittura provano sentimenti come noi.

Le parole non sono uscite, perché mentre scrivevo mi sembrava così assurdo che ci sia bisogno di sollevare il problema che non riesco trovare alcuna parola per giustificare tale indifferenza.

Persino Trump, nel suo folle disegno di Gaza Resort, si è comunque preoccupato di ipotizzare un destino per chi abita quelle terre. In questo caso no, i milioni di Ucraini che abitano nelle regioni parzialmente occupate dalla Russia, sono dei perfetti invisibili. Politici, giornalisti, opinionisti, commentatori  si preoccupano di come “sfamare” Putin per poi potere tornare al business as usual, sembra non abbiano la preoccupazione di mantenere una parvenza di umanità, di giustificare la loro indifferenza verso gli invisibili.

Tutto ciò mi lascia senza parole, forse perché appartengo ad un mondo che non c’è più, una specie di dinosauro che sta aspettando la sua glaciazione.

ALESSANDRO CHELO

Sono nato a Genova nel 1958.

Ho pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese.

Dopo aver lungamente scritto per Stradeonline, Linkiesta e Il Riformista, mi dedico oggi, a CONTEMPORANEA.

Alessandro Chelo

I miei articoli scritti per:

collaborano con la redazione di contemporanea

Mauro Voerzio, Torino, 1968. Analista geopolitico, esperto di guerra ibrida. Dal 2015 al 2019, ricercatore presso l’Università del giornalismo di Kyiv per il progetto StopFake; dal 2019 al 2023, Esperto Nazionale in Georgia per l’Unione Europea; autore di Gli Angeli di Maidan (2014) e Guerra Ibrida - attacco all’Europa (2019).

Luca Monti, Como, 1968. Vive a Blevio sul lago di Como. Autore di Un orso rosso a New York (2021), Generazione 1968 (2016), L’immortalità (2016). È fondatore di Copernicani ETS - Associazione per l’innovazione. Dal 1994 opera nell’ambito dello sviluppo del capitale umano. Ha progettato e coordinato servizi innovativi finanziati dall’Unione Europea per la formazione, l’istruzione e il lavoro.

Paolo Scavino, Genova 1964. Consulente di direzione e formatore su sistemi di gestione e modelli organizzativi. Autore de Il fiato spezzato (2013). Vive a Genova e osserva con interesse e qualche timore il cambiamento in atto.

Nera è un gioco, uno strumento ed un mezzo espressivo. Una compagna di viaggio ed un rifugio.
È una provocazione, una proiezione, la mia parte piú vera.

Collabiorano inoltre Eglaia Tosti Jeremy Olek che si racconta nel libroJeremi e la farfalla che volava in inverno.

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CONTEMPORANEA
la news letter di approfondimento politico
a cura di alessandro chelo
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