n°6

27 maggio 2025

CONTEMPORANEA

QUINDICINALE

DI RIFLESSIONE POLITICA

"Il nostro intento consiste nell'osservare la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato"

by Alessandro Chelo

Perchè CONTEMPORANEA?

A cura della redazione

Perchè il mondo cambia con velocità e intensità inusitate, mai sperimentate fino ad oggi. Non basta dirlo, bisogna tenerne conto, bisogna adottare nuovi paradigmi e, per farlo davvero, bisogna lasciare andare le vecchie credenze e i vecchi ancoraggi. Bisogna mollare gli ormeggi e iniziare a guardare il mondo con occhi nuovi, osservando la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato. Non serve rimpiangere il bel tempo andato, occorre scovare l'innovazione e comprenderla, da qualunque parte essa provenga, in qualunque forma si presenti, impegnandosi affinchè il nuovo tempo non sia terreno di rivincita, ma di emancipazione; non di recriminazione, ma di accrescimento.

IN QUESTO NUMERO:

CARO AMICO TI SCRIVO

di Stefano Piperno (tratto da InOltre)

Lettera al Presidente Mattarella

IL DITO E LA LUNA

di Alessandro Chelo

Uso e abuso del referendum

IL PUNTO DI VISTA

di Jeremy Olek

Chi non vota qualunquista è! O no?

SOLLETICANDO

di Eglaia Tosti

Spiritualità laica

caro amico ti scrivo

lettera al Presidente Mattarella

di Stefano Piperno

Volentieri pubblichiamo e contribuiamo a diffondere il testo di una lettera di Stefano Piperno al Presidente Mattarella, già pubblicata su InOltre.

 

Carissimo Presidente Mattarella,

mi rivolgo a lei, attento e severo custode della Costituzione, da cittadino italiano di origine ebraica, scampato alla morte mentre era nel ventre di sua madre, sfuggita fortunosamente alla cattura dei nazisti il 16 ottobre del 1943, per chiederle se il silenzio delle Istituzioni rispetto a recenti innumerevoli episodi di antisemitismo sia accettabile o debba invece essere oggetto del richiamo della suprema magistratura dello Stato.

Una domanda spontanea e non capziosa per dare tranquillità all’intera esigua, inerme, minoranza ebraica italiana, che pure ebbe grandi meriti nella costruzione dello Stato unitario nel Risorgimento e nella lotta partigiana per la riconquista della libertà, con un cospicuo numero di martiri.

Senza entrare nel merito del conflitto attualmente in atto in Medio Oriente, né della irrisolta diatriba tra antisionismo e antisemitismo, sono certo che lei sia a conoscenza di alcuni eclatanti episodi degli ultimi giorni, ma per esigenze di chiarezza glieli rammento.

I cartelli comparsi negli esercizi commerciali a Napoli, con conseguente discreto consiglio del prefetto agli ebrei di non indossare la kippah.

In una libreria Feltrinelli di Milano sono state rinvenute delle copie di un libro del premio Nobel Singer sulle quali sono stati incollati degli sticker antiebraici.

Al Salone del libro di Torino, a parte i tentativi di irruzione di propal, due conferenzieri ebrei hanno dovuto rinunciare ai loro interventi.

Questi sono solo alcuni dei più recenti, preceduti, come lei sa, dalle discriminazioni in varie scuole e università, dalle minacce a Sami Modiano e alla senatrice a vita Liliana Segre, da tempo sotto scorta.

Il nostro è uno Stato democratico che si alimenta della libertà di opinione, di stampa e di parola, mi chiedo se sia giusto soggiacere quando una parte, pur minoritaria, dell’opinione pubblica passa alle vie di fatto, impedendo ad altri di espletare i propri diritti di liberi cittadini o peggio trattandoli da quinte colonne di uno Stato straniero, cui tutti hanno diritto di rivolgere le proprie critiche, sia ben chiaro.

Presidente, lei sa quanto me che i primi provvedimenti assunti contro gli ebrei in Italia nel ‘38 riguardarono scuola e cittadinanza, forse sono ipersensibile, ma vedo spirare un brutto vento.

È chiedere tanto un suo intervento, pubblico, ufficiale, chiarificatore in proposito?

Rammento il suo riferimento a Stefano Gaj Tachè da lei definito ”un nostro bambino italiano” e l’incontro con i genitori del piccolo martire innocente, ucciso dal fondamentalismo, principale responsabile dell’odio che impedisce la pace tra Israele e i profughi arabi che attendono una soluzione dal 1948.

La prego intervenga come sa, lei che ha subito nei suoi affetti familiari le conseguenze dell’odio, dall’alto della sua funzione, ma anche della sua riconosciuta umanità ed equanimità.

Con deferenza Stefano Piperno

 

Qui l'articolo originale

il dito e la luna

Uso e abuso del referendum

di Alessandro Chelo

L’8 e il 9 giugno avrà luogo il referendum abrogativo promosso fra gli altri dal principale sindacato, la CGIL.

I quesiti posti da questo referendum sono cinque, quattro dei quali riguardano il mondo del lavoro e uno la questione dei tempi di ottenimento della cittadinanza italiana.

Con queste righe, non intendo scendere nel dettaglio dei contenuti, intendo proporre una riflessione sul senso di questo strumento, il referendum abrogativo, e sull’uso che se ne è fatto fino ad oggi.

Il referendum abrogativo è uno strumento messo nelle mani dei cittadini: essi, dopo aver raccolto adeguato numero di firme, possono proporre l’abrogazione di una legge regolarmente discussa in sede parlamentare e promulgata dal Presidente della Repubblica. In quali occasioni ha senso utilizzare questo strumento? Quando si ritenesse una legge, per quanto legittima e costituzionale, palesemente in contrasto col volere e col sentire della cittadinanza, quando in sostanza si ritenesse che su una legge specifica, tipicamente di grande rilievo, si misuri una distanza incolmabile fra Parlamento e Paese. Insomma, un evento assolutamente eccezionale su grandi questioni dirimenti.

In effetti, però, il referendum abrogativo, salvo rare eccezioni, è stato utilizzato fino ad oggi in modo del tutto improprio. Da quando la nostra Costituzione lo prevede, 80 anni, hanno avuto luogo 72 referendum abrogativi. Se non fosse che spesso, come in questo caso, si sono accorpati diversi quesiti, sarebbe quasi un referendum all’anno.

Già il fatto di accorpare più quesiti (come sarà anche per la consultazione del prossimo giugno), indica che non c’è una specifica questione di grande rilievo che merita l’utilizzo di questo strumento straordinario ed eccezionale.

Ma in quali occasioni l’uso del referendum abrogativo è stato appropriato? Vediamo.

Nel 1974 diverse organizzazioni cattoliche promossero il referendum per abrogare la legge Fortuna-Baslini, approvata dal Parlamento, che introduceva in Italia il diritto al divorzio. Il tema era cruciale? Sì. Poteva rappresentare una spaccatura fra il Parlamento e un “paese reale” fortemente radicato nella cultura cattolica? Sì. Quindi quell’iniziativa referendaria fu più che legittima. I promotori persero, non fu abrogato alcunché e tutto restò immutato.

Nel 1981 fallì allo stesso modo il tentativo di abrogare la legge sull’interruzione di gravidanza.

Nel 1985 il Partito Comunista promuove il referendum per l’abrogazione della riduzione della scala mobile voluta dal Governo Craxi. Anche in questo caso vince il no, non viene abrogato alcunché e tutto resta come prima.

Nel 1997 finalmente un’iniziativa referendaria ha successo, così viene abrogata la legge che disciplina la produzione di energia nucleare in Italia, tecnologia che in quel momento vedeva l’Italia all’avanguardia nel mondo. 

Anche nel 1991 si riscontra un successo referendario e viene abrogato l’uso delle preferenze nelle elezioni per la Camera dei Deputati. La vittoria del sì è schiacciante, oltre il 95%.

Sull’onda della vittoria del ’91, anche due anni dopo un'altra iniziativa referendaria ha successo e viene abolito il finanziamento pubblico ai partiti.

Nel 2011 vince il sì all’abrogazione delle norme che consentono di affidare la gestione dei servizi pubblici locali a operatori privati.

Naturalmente non ho citato le decine di inutili quesiti minori che non hanno raggiunto ill quorum e le decine di occasioni (come sarà quella del prossimo giugno) in cui si propone l'abolizione di un articolo o di un comma, al fine di modificare (e non abrogare) una legge, attività totalmente impropria per un referendum e tipica dell'attività parlamentare.

Sta di fatto che nella gran parte dei casi, l’iniziativa referendaria ha fallito e non ha cambiato alcunché. Dal mio punto di vista, negli unici casi in cui l’iniziativa referendaria ha avuto successo, il Paese non ne ha guadagnato. Anzi: ci siamo privati dell’opportunità nucleare che ci avrebbe resi più competitivi economicamente e autonomi politicamente; abbiamo eliminato le preferenze sulle schede elettorali, salvo poi scoprire che in fondo costituivano l’elemento più “democratico” della consultazione elettorale; abbiamo abolito il finanziamento pubblico tout court, spalancando la strada a ogni sorta di finanziamento illecito; abbiamo impedito a società private di contribuire all’efficientamento della pubblica amministrazione.

Insomma, in sintesi, il referendum abrogativo nella maggior parte dei casi è utilizzato in modo improprio, quando utilizzato in modo sensato, non ha mai fatto avanzare il Paese. Fino ad oggi, in nessun caso, abrogando una legge per via referendaria, il Paese ne ha tratto vantaggio.

Il referendum del prossimo giugno fa eccezione? No, anche in questo caso si utilizza questo strumento in modo del tutto improprio giacché si disquisisce su questioni ampiamente gestibili sul piano parlamentare e anche in questo caso, se mai si affermasse il SI, il Paese arretrerebbe, specie sui quesiti riguardanti il lavoro.

Per questo, chi invita a non partecipare al voto, non solo esprime una posizione più che legittima, ma lancia un grido di dolore, una preghiera: basta utilizzare il referendum abrogativo come pretesto per beghe politiche, rese dei conti, battaglie nel fango, attività di bassa cucina. Per questo l’8 e 9 giugno non mi recherò alle urne.

IL puntO di vista

Chi non vota qualunquista è! O no?

di Jeremy Olek

Fra le tante storture della celebratissima Costituzione Italiana, annoveriamo anche quella del voto come “dovere”. Così è infatti definito all’articolo 48, un “dovere civico”. Si tratta di una delle tante forme retoriche previste dalla Carta, forme retoriche tanto care a qual mondo catto-comunista che ne ha potentemente condizionato la stesura. Anche in questo articolo, apparentemente innocuo, trasuda la pretesa di uno stato pedagogo che educa i cittadini e gli intima col dito alzato i comportamenti virtuosi. Non è un caso se in questi giorni aleggia l’accusa di “fascismo” nei confronti di chi non intende prendere parte al referendum del prossimo giugno.

No, votare non è un dovere, è certamente un diritto, ca va sans dir, ma non un dovere. L'astensione è un diritto pari a quello di voto. Immaginiamo di far parte di una qualunque comunità, chessò, un circolo di tennis. Immaginiamo di frequentarlo con rispetto e riservatezza. Immaginiamo anche che non intratteniamo tante relazioni e conosciamo poco i membri del consiglio direttivo e ancora meno i candidati a sostituirli. Per questo preferiamo non prendere parte all’assemblea per il rinnovo del consiglio, preferiamo delegare a chi conosce meglio ed è più interessato. Qualcuno potrebbe obiettare qualcosa? Qualcuno potrebbe considerare immorale questo comportamento? No di certo. Eppure quando proponi questo ragionamento, c’è sempre qualcuno che salta su e replica “eh ma allora poi non ti puoi lamentare!”. Cioè, siccome non partecipo all’assemblea di rinnovo del consiglio, allora se trovo gli spogliatoi sporchi non posso segnalarlo né lamentarmene? Ma di cosa stiamo parlando? Ma ci rendiamo conto di quanto siamo condizionati in questo giudizio? L’obbligo di votare è tipico delle dittature dove vota il 99% e quelli che non fanno “il loro dovere” passano un brutto quarto d’ora. Nel mondo libero il voto è un diritto, non è un dovere. Dove si vota meno, c’è meno democrazia? No, da quando sono bambino negli USA vota il 50% degli aventi diritto e non succede proprio niente. Dove si vota di meno, c’è meno partecipazione? No, ci sono altri mille ambiti per partecipare, conosco persone impegnate nel volontariato che non votano, e bè? Io stesso in diverse occasioni non ho preso parte al voto, e allora?

Intendiamoci, non voglio fare l’apologia dell'astensione, voglio fare l’elogio del rispetto della libertà: ognuno è libero di scegliere di volta in volta se votare o no e nessuno, men che meno lo Stato, deve permettersi di rompergli le scatole.

solleticando

Spiritualità laica

di Eglaia Tosti

Quando il neo-eletto Papa americano si è affacciato al balcone, fra le prime cose che ha detto di sé, si è definito "agostiniano".
Su questo vorrei proporre una libera riflessione personale.
Da tempo il mio rapporto con la fede è di resa: ho scelto di arrendermi al mistero. Non sono certo un'esperta agostiniana, ma per qual po' che mi è dato sapere, anche rispetto a questo mood, mi sento in sintonia con Agostino.
Un “motto" degli agostiniani ci dice: In Illo uno unum, ovvero "nell'unico Cristo siamo uno".
Per Agostino, cercare Dio significa soprattutto introspezione, dare un senso a quanto accade a se stessi, dentro di sé e intorno a sé, al fine di dare sostanza al proprio vivere. Insomma credo di poter dire che Agostino sia stato un antesignano dell’esistenzialismo, certo, un esistenzialismo spirituale, ma pur sempre esistenzialismo. Per Agostino, infatti, Dio è presente nell’anima di ogni uomo, quindi ogni uomo può ricercare la verità dentro di sé e provare così a ridurre l’inquietudine dell’esistenza.
Per Agostino il male non esiste, esiste solo il bene. Ciò che fa soffrire non è il male, è l’assenza di bene. Per questo Agostino non indica nemici, né conflitti, né recriminazioni: l'amore deve animare qualunque rapporto interpersonale.
In fondo, cercare Dio corrisponde a cercare il proprio sé spirituale, quindi, secondo questa logica, chi interpreta la propria esistenza come una progressiva ricerca della propria autentica essenza, si sta avvicinando, anche da non credente, al mondo spirituale: la ricerca del sé corrisponde alla ricerca dello spirito.
Roberto Assagioli, considerato uno dei padri della psicologia umanistica, così descrive il sé: il Sé è l’Io superiore, eterno, che risiede nei più alti livelli dello spirito, scintilla divina sprizzata dalla grande fiamma centrale. Individuale e universale allo stesso tempo, è immobile, stabile, immutabile.
Insomma possiamo concepire Dio come una sorta di io superiore collettivo e intravederne la presenza nell’esperienza dell’introspezione.

ALESSANDRO CHELO

Sono nato a Genova nel 1958.

Ho pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese.

Dopo aver lungamente scritto per Stradeonline, Linkiesta e Il Riformista, mi dedico oggi, a CONTEMPORANEA.

Alessandro Chelo

I miei articoli scritti per:

collaborano con la redazione di contemporanea

Mauro Voerzio, Torino, 1968. Analista geopolitico, esperto di guerra ibrida. Dal 2015 al 2019, ricercatore presso l’Università del giornalismo di Kyiv per il progetto StopFake; dal 2019 al 2023, Esperto Nazionale in Georgia per l’Unione Europea; autore di Gli Angeli di Maidan (2014) e Guerra Ibrida - attacco all’Europa (2019).

Luca Monti, Como, 1968. Vive a Blevio sul lago di Como. Autore di Un orso rosso a New York (2021), Generazione 1968 (2016), L’immortalità (2016). È fondatore di Copernicani ETS - Associazione per l’innovazione. Dal 1994 opera nell’ambito dello sviluppo del capitale umano. Ha progettato e coordinato servizi innovativi finanziati dall’Unione Europea per la formazione, l’istruzione e il lavoro.

Paolo Scavino, Genova 1964. Consulente di direzione e formatore su sistemi di gestione e modelli organizzativi. Autore de Il fiato spezzato (2013). Vive a Genova e osserva con interesse e qualche timore il cambiamento in atto.

Nera è un gioco, uno strumento ed un mezzo espressivo. Una compagna di viaggio ed un rifugio.
È una provocazione, una proiezione, la mia parte piú vera.

Collabiorano inoltre Eglaia Tosti Jeremy Olek che si racconta nel libroJeremi e la farfalla che volava in inverno.

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CONTEMPORANEA
la news letter di approfondimento politico
a cura di alessandro chelo
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