n°5

17 maggio 2025

CONTEMPORANEA

QUINDICINALE

DI RIFLESSIONE POLITICA

"Il nostro intento consiste nell'osservare la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato"

by Alessandro Chelo

Perchè CONTEMPORANEA?

A cura della redazione

Perchè il mondo cambia con velocità e intensità inusitate, mai sperimentate fino ad oggi. Non basta dirlo, bisogna tenerne conto, bisogna adottare nuovi paradigmi e, per farlo davvero, bisogna lasciare andare le vecchie credenze e i vecchi ancoraggi. Bisogna mollare gli ormeggi e iniziare a guardare il mondo con occhi nuovi, osservando la realtà con i piedi ben piantati nel presente e lo sguardo mai rivolto al passato. Non serve rimpiangere il bel tempo andato, occorre scovare l'innovazione e comprenderla, da qualunque parte essa provenga, in qualunque forma si presenti, impegnandosi affinchè il nuovo tempo non sia terreno di rivincita, ma di emancipazione; non di recriminazione, ma di accrescimento.

IN QUESTO NUMERO:

CARO AMICO TI SCRIVO

di Alessandro Chelo

Lettera aperta all'elettore terzopolista

IL DITO E LA LUNA

di Paolo Scavino

Ipocrita è chi l'ipocrita fa

IL PUNTO DI VISTA

di Luca Monti

Il 28° Stato dell'Unione, sarà immateriale?

SOLLETICANDO

di Eglaia Tosti

Responsabilità individuale, questa sconosciuta

caro amico ti scrivo

lettera aperta all'elettore terzopolista

di Alessandro Chelo

Caro elettore terzopolista,

ti scrivo davvero da amico, ho infatti condiviso con te speranze e illusioni, velleità e disillusioni.

Iniziai a ragionare della necessità di un riferimento politico equidistante da destra e sinistra, prendendo parte nel 2017 alla nascita di Più Europa. In quel movimento riscontrai la presenza di interessanti energie intellettuali. Purtroppo vennero soffocate. Non solo da una piuttosto meschina lotta nel fango per ritagliarsi posizioni di potere nell’ambito del partito, vennero soffocate anche da un atteggiamento pieno di prosopopea e pretesa avanguardista che, per quanto tipico della cultura comunista, caratterizza anche non pochi liberali. A seguito dei primi fallimenti elettorali, sia sul piano nazionale che su quello europeo, ne uscii.

Poco dopo, correva il 2019, si presentò una nuova occasione: Italia Viva. Seguii con curiosità la sua nascita e il suo tentativo di radicamento. Fin da subito, a partire dalla Leopolda fondativa, riscontrai come il neonato movimento fosse afflitto da quella che presi a definire la sindrome dell’ex: non si faceva che parlare del PD, se ne diceva peste e corna, ma non si parlava d’altro. Più che un progetto politico sembrava una rivincita. Questo sentimento mi fu suggerito fin da subito, quando, proprio alla Leopolda fondativa, sentii Roberto Giachetti pronunciare le seguenti parole: Italia Viva sarà il PD che ce l’ha fatta. Italia Viva non riuscirà mai a scollarsi di dosso quella sindrome e il suo attuale approdo lo dimostra ampiamente.

Nel 2022, venne il tempo dell’idea di un vero e proprio “terzo polo”. Come ispiratori si proposero Matteo Renzi e Carlo Calenda. Presero a discutere i termini per la costituzione di un “partito unico” che mettesse insieme Italia Viva e Azione. Con un gruppo di amici demmo vita a un appello affinché non si desse vita a un “partito unico”, ma semmai a un “partito nuovo” che andasse ben al di là degli angusti steccati dei due partitini. Portammo questa idea nel neonato movimento liberale denominato LDE che si proponeva di favorire la nascita del terzo polo, ma non trovammo ascolto. Men che meno trovammo ascolto in Azione e Italia Viva che anzi, attraverso la voce della sua signorina Rottenmeier, ci redarguì. A seguito dell’esito delle elezioni politiche del tempo, esito non trascurabile, ma piuttosto modesto, i due leader presero a scambiarsi accuse, dimostrando d’essere l’uno più abile che onesto, l’altro più ambizioso che abile.

Nel frattempo il mondo è radicalmente cambiato e l’Italia è governata da una maggioranza di centro-destra che, con tutte le contraddizioni del caso, riesce a tenere la barra dritta sulle principali questioni internazionali, oggi divenute di gran lunga preminenti. Rafforzare la componente centrista e liberale di quella maggioranza e rendere marginale la posizione della Lega, rappresenterebbe un immenso regalo al sistema democratico italiano. Non è forse questa una missione degna per chi si è sempre definito liberale? Per quanto mi riguarda, ho dato una risposta e la mia risposta è sì. Questa considerazione mi guiderà nelle prossime scelte. Certo, lo capisco, forse si può attendere l’esito dell’ennesimo tentativo, quello di Marattin. Sarebbe perseveranza o perversione? Il dubbio è lecito. Temo che, così come Giachetti sognava “il PD che ce l’ha fatta”, tanti seguaci di Marattin sognino “Italia Viva che ce l’ha fatta”. Con tutto il rispetto, è un sogno che gli lascio. Può Forza Italia riscoprire la vocazione liberale e centrista che ne ha ispirato la nascita? Con tutte le difficoltà del caso, mi pare oggi un intento più realistico.

il dito e la luna

Ipocrita è chi l'ipocrita fa

di Paolo Scavino

Uno dei grandi classici della politica, è l’accusa di ipocrisia rivolta agli avversari. Si tratta di un’accusa particolarmente efficace perché, mettendo in evidenza l’incoerenza fra valori proclamati e comportamenti, sposta il confronto dal piano politico a quello morale. Più che un’accusa di contraddizione, è una denuncia di vera e propria doppiezza.

Non stupisce quindi che dai banchi dell’opposizione, la segretaria Elly Schlein abbia rivolto questa vibrante accusa alla maggioranza. Stupisce, semmai, il momento e l’occasione in cui lo ha fatto.

Durante una seduta della Camera dedicata al ricordo di Papa Francesco, Schlein ha accusato la Presidente del Consiglio Meloni e i suoi alleati di rendere omaggio al Pontefice in modo ipocrita, senza averne mai realmente seguito le indicazioni morali.

L’accusa è forte, soprattutto perché lanciata in un momento solitamente riservato al raccoglimento e alla memoria, non allo scontro politico.

Ma ciò che colpisce maggiormente è il messaggio implicito: Schlein sembra indicare il pensiero di Papa Francesco, specie sui temi della guerra russo-ucraina e della crisi in Medio Oriente, come un orientamento politico al quale doverosamente ispirarsi.

È come se dicesse: “Voi, che vi proclamate difensori dei valori cristiani, siete in realtà lontani dagli insegnamenti del Pontefice, e quindi ipocriti.”

Tuttavia, è difficile immaginare che Schlein ignori come, nonostante la sua sensibilità terzomondista e anticapitalista, Papa Francesco non abbia mai abbandonato apertamente le posizioni tradizionali della Chiesa su temi come aborto, fine vita e diritti LGBT+, temi fortemente identitari della sinistra. E allora? Non vale per la sinistra la stessa accusa di ipocrisia?

Dove Francesco ha in effetti introdotto un cambiamento profondo, è nella politica estera: ha coniugato un costante appello alla pace con critiche, talvolta esplicite, all’Occidente, visto come attore primario nelle dinamiche di conflitto globale.

Questa visione ha dato voce a una lettura anti-occidentale e anti-capitalista molto presente nei paesi del Sud del mondo, che trova sponda anche nei movimenti di protesta occidentali. In tale prospettiva, l’Occidente sarebbe portatore di disvalori e la reazione di autocrati come Putin o degli Ayatollah diventa un’inevitabile conseguenza di un sistema ingiusto e corrotto. Una visione che culmina spesso in un anti-sionismo radicale: Israele sarebbe un’anomalia imposta dall’Occidente e la sua esistenza stessa, in quest’ottica, diventa generatrice di conflitto.

Ebbene, neppure su questi temi  la sinistra italiana può permettersi di dare lezioni di coerenza, considerando che il Partito Democratico ha sostenuto e votato tutti gli stanziamenti a favore dell’Ucraina e la sua linea ufficiale sulla questione israelo-palestinese resta quella dei “due popoli, due Stati”.

Insomma, l’accusa di incoerenza che normalmente é strumentale, in questo caso, scagliata dalla sinistra, appare addirittura paradossale. 

Questa vicenda mostra in realtà tutta l’attuale incertezza identitaria della sinistra, una sinistra che non esita ad assumere a propria piattaforma politica ciò che passa il convento, compreso il pensiero del Papa. Con ciò, può provare a mantenere in vita il “campo largo”, ma di certo mantiene vive tutte le ambiguità ideologiche che hanno impedito ai dem di diventare quel partito democratico all’americana che aveva sognato Veltroni. Quelle ambiguità sono la vera ipocrisia: ipocrita é chi l’ipocrita fa. 

IL puntO di vista

Il 28° Stato dell'Unione, sarà immateriale?

di Luca Monti

Dopo che prima Letta e poi Draghi nei loro rapporti hanno accennato alla possibilità di creare soluzioni extra-statali per superare vincoli e differenze tra norme, tasse e organi di controllo, inizia a prendere piede l’idea di un ventottesimo stato, ossia di uno Stato immateriale in Europa.

Perché non prendere il meglio delle regole per favorire la nascita e lo sviluppo delle start up innovative? Ci stanno lavorando, lo giuro. (Articolo lavoce.info)

Perché non creare un profilo normativo per il lavoro da remoto tra chi lavora in uno stato dell’Unione e l’azienda committente che risiede in un altro? Un’idea covata e abbozzata con Carlo Alberto Carnevale Maffè qualche anno fa per Programma Italia di Carlo Cottarelli.

Se viviamo in una infosfera dove i confini materiali possono aver senso ormai solo per i beni materiali, allora, forse, ciò che non è materiale può stare in uno Stato tutto suo, fatto a bella posta, con una identità veramente europea. Un diritto societario, un diritto del lavoro europeo e tutto quello che serve per creare nuovo valore.

Non potrebbe essere un modo per avere finalmente start up capaci di scalare, unicorni veri, liberi di scorrazzare nelle praterie della finanza europea appunto perché europei?

Quasi mezzo milione di italiani sono emigrati nel triennio 2022-2024. La fotografia scattata dall'Istat rileva una lenta erosione demografica nel nostro Paese, che ha subito anche un calo delle nascite. Un fenomeno lento e inesorabile che ha subito una accelerazione dopo la pandemia.

Che cosa ci dice l’idea del 28° Stato su questo fenomeno migratorio?

Quel flusso di giovani emigranti non avrebbe più la necessità di portare altrove il loro corpo per inseguire le corporate che offrono loro occupazione. Non con le proporzioni che si registrano.

La possibilità di slegare il lavoro dal luogo ha stimolato la proposta di introdurre un contratto di lavoro “europeo” per quelle attività che non richiedono una presenza fisica costante in azienda. Per cui potremmo lavorare a Milano per un’azienda basata a Dublino. I voli low cost consentono poi di assicurare la mobilità necessaria per la presenza fisica quelle volte che l’azienda lo richiede.

La nuova forma di lavoro può prevedere il mantenimento per l’impresa del regime fiscale del paese di appartenenza e, contemporaneamente, l’applicazione al lavoratore “remoto” della normativa fiscale e contributiva del suo Paese. 

Si aprirebbe così uno scenario nuovo del mercato del lavoro che consentirebbe ai cittadini italiani che desiderano lavorare nel contesto europeo, di partecipare al mercato del lavoro comunitario senza necessariamente trasferirsi in un altro paese, se non per le trasferte in presenza definite contrattualmente. La prestazione lavorativa sarebbe realizzata in regime di lavoro da remoto e in presenza.

Le eventuali controversie sarebbero di competenza di un Organo di conciliazione europeo.

Questa soluzione, in prospettiva, genererebbe un mercato del lavoro comunitario, estendendo al mercato del lavoro UE il principio del “mutuo riconoscimento” già applicato al mercato unico dei beni.

Con quali benefici? Ma è evidente che ce ne sarebbero eccome.

In alcuni casi, questa forma contrattuale potrebbe consentire il rientro di lavoratori in Italia, in altri aprirebbe opportunità provenienti da aziende che sono presenti in altri paesi comunitari. Aumenterebbe le possibilità di accedere a opportunità di lavoro, creando entrate contributive e fiscali sia dirette che indotte (dal momento che i lavoratori rimangono in Italia). 

Per evitare un dumping salariale sarebbe necessario prevedere remunerazioni libere, non vincolate , ma anche escludere la possibilità di offrire contratti che si collochino nel quartile più basso della curva di distribuzione dei contratti in essere. 

La proposta prevede inoltre un’assicurazione che tuteli i lavoratori nei periodi di inattività con un sussidio decrescente e percorsi di formazione obbligatori.

Questa opportunità si estende anche al lavoro autonomo intermediato dalle piattaforme di intermediazione.

La proposta prevede la creazione di una “Zona Economica Speciale Virtuale” (ancora il 28° Stato) dedicata a questi rapporti di lavoro a distanza in un mercato del lavoro digitale europeo con regole analoghe a quelle per il lavoro dipendente.

solleticando

Responsabilità individuale, questa sconosciuta

di Eglaia Tosti

Con le guerre che riempiono la cronaca, Ucraina e Gaza su tutte, torna in auge un adagio, secondo il quale la responsabilità dei conflitti sarebbe unicamente e sempre dei “potenti della terra”, malvagi per natura, mentre i “popoli”, naturalmente buoni, sarebbero sempre e comunque soltanto vittime.

Naturalmente c’è del vero, ma bisogna stare attenti a non radicalizzare troppo questo concetto, il popolo non è sempre buono e giusto, in fondo tutte le forme di democrazia rappresentativa ne limitano o controbilanciano il potere, proprio perché il popolo è anche capace di scelte per nulla lungimiranti e talora orride. Il popolo può facilmente trasformarsi in una massa incapace di creare con le proprie forze un sistema sociale che garantisca benessere e giustizia, il popolo può diventare folla, un corpaccio informe che per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fa di tutto per ispinger le cose al peggio (Manzoni).

Il popolo ha dunque una responsabilità anche nello scatenare e sostenere le peggiori guerre? Pur trattandosi di un livello di responsabilità ovviamente differente, sì, anche il popolo ha la sua quota di responsabilità. Oppure il popolo italiano che, nella stragrande maggioranza, sostenne il fascismo, il suo intento bellico e la stessa alleanza con la Germania nazista, non ha alcuna responsabilità? E il popolo tedesco che distolse lo sguardo, quando non sostenne apertamente, lo sterminio degli ebrei, si è assunto una qualche responsabilità? E oggi, il popolo russo che non accenna a contestare un autocrate sanguinario che nega il diritto di esistere di altri paesi sovrani, li invade e li bombarda, assume un certo grado di responsabilità? E le genti arabe-islamiste che bruciano bandiere, festeggiano la morte di qualsivoglia “infedele”, inneggiano a chiunque stermini al grido di Allahu akbar, negano il diritto di esistere di Israele e giustificano, quando non coprono, i terroristi tagliagola, assumono una qualche responsabilità? Sì.

Ognuno ha un grado di responsabilità perché ciascuno è libero, in ogni circostanza, di scegliere quale atteggiamento adottare. Ma secondo una certa retorica, i comportamenti delle persone, degli individui, sarebbero esclusivamente dettati dal “sistema” o sarebbero frutto esclusivo dei condizionamenti ambientali. Questa idea si è così radicata, che persino coi cani si adotta questa logica, così quando un cane aggredisce una persona, parte la corsa alla giustificazione: Chissà come viene trattato! Cosa ne può, povero cane, sicuramente è colpa del padrone! Magari avrà vissuto alla catena, poverino! A nessuno viene in mente che il DNA non è la trovata di uno scienziato pazzo e indole e attitudini innate guidano la gran parte dei comportamenti, in questo caso del cane. Il giustificazionismo ha preso il sopravvento anche a causa di quell’iper-psicologismo e iper-sociologismo novecenteschi, per cui del DNA ci si dimentica e il libero arbitrio è stato messo al bando: conta solo “il sistema”. Non è così: conta il DNA e conta il libero arbitrio. Certo, nessuno é responsabile del proprio DNA, ma ognuno é responsabile dell’uso che ne fa. Come diceva Gustav Keser, non siamo responsabili di ciò che ci viene messo nella culla, ma siamo responsabili dell’uso che scegliamo di farne. 

Anche questo ha a che fare con la difesa dei principi liberali: occorre affermare una concezione umanistica, fondata sulla fiducia nella capacità degli individui di scegliere, di esercitare la propria libertà, di assumersi le proprie responsabilità. Per quanto i livelli siano differenti, no, non sono solo i potenti della terra a fare la storia, la fa ognuno di noi.

ALESSANDRO CHELO

Sono nato a Genova nel 1958.

Ho pubblicato diversi saggi con Sperling & Kupfer, Guerini e Feltrinelli, alcuni tradotti in più lingue fra cui il coreano e il giapponese.

Dopo aver lungamente scritto per Stradeonline, Linkiesta e Il Riformista, mi dedico oggi, a CONTEMPORANEA.

Alessandro Chelo

I miei articoli scritti per:

collaborano con la redazione di contemporanea

Mauro Voerzio, Torino, 1968. Analista geopolitico, esperto di guerra ibrida. Dal 2015 al 2019, ricercatore presso l’Università del giornalismo di Kyiv per il progetto StopFake; dal 2019 al 2023, Esperto Nazionale in Georgia per l’Unione Europea; autore di Gli Angeli di Maidan (2014) e Guerra Ibrida - attacco all’Europa (2019).

Luca Monti, Como, 1968. Vive a Blevio sul lago di Como. Autore di Un orso rosso a New York (2021), Generazione 1968 (2016), L’immortalità (2016). È fondatore di Copernicani ETS - Associazione per l’innovazione. Dal 1994 opera nell’ambito dello sviluppo del capitale umano. Ha progettato e coordinato servizi innovativi finanziati dall’Unione Europea per la formazione, l’istruzione e il lavoro.

Paolo Scavino, Genova 1964. Consulente di direzione e formatore su sistemi di gestione e modelli organizzativi. Autore de Il fiato spezzato (2013). Vive a Genova e osserva con interesse e qualche timore il cambiamento in atto.

Nera è un gioco, uno strumento ed un mezzo espressivo. Una compagna di viaggio ed un rifugio.
È una provocazione, una proiezione, la mia parte piú vera.

Collabiorano inoltre Eglaia Tosti Jeremy Olek che si racconta nel libroJeremi e la farfalla che volava in inverno.

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CONTEMPORANEA
la news letter di approfondimento politico
a cura di alessandro chelo
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