Sono un uomo del Novecento.
Sono nato nella seconda metà del XX secolo, un’epoca straordinaria, caratterizzata dalla rottura di ogni convenzione sociale. Il mondo occidentale si era appena ricostruito dalle macerie di due guerre mondiali e l’ha fatto in base ad un sentimento psicologico di libertà ed onnipotenza. La combinazione eccezionale di nuove tecnologie a basso prezzo e produzione di massa, ci ha dato la possibilità di superare i vincoli ed i condizionamenti tipici delle economie rurali. La liberazione della donna avvenne grazie alla lavatrice ed alla cucina a gas; altrimenti le nostre mamme sarebbero rimaste a lavare i panni al fiume ed alzarsi alle cinque per accendere il fuoco. La rivoluzione sessuale fu resa possibile dalla diffusione degli anticoncezionali. L’elettrificazione degli strumenti musicali ci ha dato decenni di musica impareggiabile mentre le arti visive (cinema, televisione) ci hanno regalato sogni di mondi nuovi. Mondi che peraltro potevamo per la prima volta esplorare grazie alla mobilità individuale (automobili, motociclette, aerei).
Vivevamo e crescevamo sostenuti da una cultura “no limits”. In cuor nostro pensavamo che il mondo fosse infinito, le risorse naturali eterne e lo sviluppo continuo. Non era vero, ma ci ha dato la forza per sognare. Siamo stati una generazione di sognatori.
Oggi i sogni sono scomparsi, sostituiti dalla cultura del limite. Qualcuno pretende di vivere lasciando l’impronta più lieve possibile sul pianeta. Non dobbiamo usare le nostre auto per non bruciare combustibili fossili, dobbiamo fare la doccia in fretta perché l’acqua scarseggia, dobbiamo riempire in continuazione borracce di latta perché la plastica è peccato. Tutto questo è sostenuto dal ramo mentalmente più limitato della comunità scientifica che dice che il riscaldamento globale è irreversibile. Loro ammettono di non poterci fare niente, quindi l’unica via è minimizzare i danni cambiando il nostro stile di vita. Se i nostri padri avessero ragionato allo stesso modo non si sarebbero impegnati a ricostruire il mondo dopo la guerra perché le macerie erano troppo alte.
Oggi domina la cultura del limite. Non si ragiona su come superare i problemi. Diamo per scontato che siano irrisolvibili e tutte le nostre energie sono spese a cercare un modo per convivere con questi problemi. Per non so bene quale motivo psicologico, il catastrofismo da “the day after” eccita l’animo umano; il cinema e la televisione ci stanno facendo lauti affari da decenni. Questa generazione alimentata da serie televisive che raccontano futuri distopici, è arrivata al punto di soffocare ogni voce che parla di un futuro che non sia di privazioni. Ogni “scienziato” che racconta il count down del global warning (“+ 5° nel 2050, +4° nel 2030…”) è ascoltato come un santo. Se qualcuno prova a dire di investire su forme di generazione di energia pulita che non siano le poche “politicamente corrette” (pale eoliche, pannelli solari, palesemente non sufficienti) viene linciato come un untore. E ’successo recentemente a chi ha parlato di nucleare a confinamento magnetico. Linciati mediaticamente, ma ora è in corso la beatificazione post-mortem
C’è una grande voglia di tragedia. Come nel medioevo, le varie “Chiese” che dominano l’opinione pubblica corrente, insegnano che la vita terrena è piena di sacrifici, ma che in un’altra vita saremo ricompensati.
Ma i giovani che (come da sempre fanno i giovani) manifestano per la giustizia ecologica, veramente riusciranno a vivere in un mondo senza sogni e senza sfide? Un mondo dove non viaggeremo, dove lavoreremo da casa per non inquinare, dove non proveremo l’eccitazione della velocità, dove vestiremo tutti uguali? Un mondo che vedremo solo attraverso lo schermo di uno smartphone?
Alla generazione dei sognatori incoscienti si è davvero sostituita una generazione di tristi responsabilizzati? Una generazione che liquida frettolosamente il mondo intorno a loro come un “bla, bla, bla” …. . Quelli che stigmatizzano i “bla, bla, bla” sanno di essere loro stessi nient’altro che un “bla, bla , bla”. Come chiunque che dice che le cose non vanno ma chiede agli altri di fare qualcosa. Loro non hanno una proposta. Loro zittiscono chiunque non sia d’accordo con le loro visioni bollandoli come parolai e contrapponendo la loro verità.
La storia ci insegna però che tutte le volte che l’umanità si è trovata sull’orlo della catastrofe, ha sempre trovato le risorse intellettuali per infrangere i vincoli e ribaltare una situazione che sembrava disperata. La grande crisi degli anni ’30, la distruzione delle guerre, la guerra fredda, la fine delle superpotenze…Si è sempre trovato una risposta a tutto. Ma la condizione è cercarla. Se accettiamo il fatto che la vita sia evoluzione e cambiamento, non immobilismo e regressione, la strada appare non costellata di vincoli, ma di speranze.
La corsa all’oro finisce solo se noi smettiamo di correre. Perché l’obiettivo non è l’oro (che non esiste, oggi come ieri). L’obiettivo è correre.